«Kick the can down the road». Carlo Cottarelli sceglie un modo di dire inglese per commentare Quota 102 e il rinvio della riforma delle pensioni. Una frase che letteralmente significa «calcia la lattina lungo la strada» e viene usata quando si vuole evitare o ritardare la gestione di un problema. È una legge di bilancio che «rimanda a una discussione successiva diversi interventi, proprio per evitare scontri con le parti sociali», sottolinea il direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani dell’Università Cattolica.
Cottarelli definisce la legge di bilancio 2022 “una manovra di compromesso”, anche se poi aggiunge, un po’ contraddittoriamente, l’auspico che il premier resti per finire le riforme. L’economista non si risparmia critiche: «Misure per la crescita, ma le scelte più forti rinviate per non deludere nessuno».
Credo che, tutto sommato, in queste poche battute, riprese dal quotidiano La stampa, sia ben sintetizzato il giudizio obiettivo esprimibile sul profluvio di miliardi scaraventato sul tessuto economico-sociale del nostro Paese. Una scatola piena di soldi (e cosa poteva darci di meglio un grande banchiere…) e vuota di idee (e non possiamo pretenderle da un grande tecnico): ce n’è per tutti i gusti, anche se manca totalmente un disegno politico. Viene spontaneo chiedersi se basterà la ripresa economica a far ritornare nelle casse erariali i fondi erogati allo scoperto, se i miliardi andranno ai soliti noti (come si suole dire se andranno dove ce ne sono già), se si scatenerà l’appetito delle mafie, se la burocrazia finirà col bloccare tutto e tutti.
Mi sento spiazzato nella mia incoerenza: ho tanto desiderato che Mario Draghi prendesse in mano la situazione e ora che è successo ne vedo tutti i limiti e i difetti. Non si può fare politica senza la politica. Non si può allestire una mostra di quadri esponendo solo le cornici. Non si può ingozzare di cibo un malato denutrito e debilitato. Non si può partire per un lungo viaggio con una fuoriserie senza sapere dove andare e quale percorso seguire.
Forse sto esagerando, ma queste sono le mie reazioni epidermiche alla conferenza miliardaria di Mario Draghi e dei suoi ministri. Intendiamoci bene: non è lui in difetto, in difetto è quel che viene prima e che verrà dopo di lui. Tuttavia mi aspettavo qualcosa di più, non tanto dal punto di vista quantitativo ma qualitativo. D’altra parte nessuno lo sta aiutando, al di là degli applausi di facciata. I partiti sventolano le loro bandierine scolorite (quota 100 per la Lega, reddito di cittadinanza per il M5S, meno tasse per Forza Italia); per i sindacati, come ironicamente osserva Daniele Nalbone su MicroMega, “in un Paese dove due milioni di giovani sono senza lavoro, l’unica battaglia da fare è quella per le pensioni…”; la gente non sa che pesci pigliare e aspetta senza fiatare; i media si esercitano nelle dietrologie e nel totopresidente.
È paradossale ma realistico verificare come nessuno sappia fare e stia facendo il proprio mestiere. In mezzo ad un esercito di incapaci la democrazia si attacca dove può: ad un tecnico che ci sa fare. Non so fino a quando il salvagente resisterà, per ora accontentiamoci, seppure a denti stretti, della lussuosa ciambella draghiana.
Il governo Draghi sta mettendo tanto fieno in cascina da rischiare di intasare la cascina e di bruciare il fieno. Non resta che aspettare il dipanarsi della manovra nei vari provvedimenti attuativi, nelle scelte concrete di assegnazione dei fondi stanziati, nelle procedure amministrative di concretizzazione, nel dibattito parlamentare e nel confronto con le parti sociali.
Un premier che si presenta con un simile bagaglio non dovrebbe avere intenzione di rimanere per pochi mesi: sarebbe una beffa colossale se traslocasse nel giro di poco tempo. Nello stesso tempo non si può pensare di vivere stabilmente in un pur bell’appartamento ammobiliato. Abbiamo fin troppi pani da mangiare (speriamo che Draghi non ne stia facendo la moltiplicazione), ma forse non abbiamo i denti per masticarli e lo stomaco per digerirli. Prepariamoci limando i denti e curando lo stomaco. Evviva la politica!