In questo periodo di riapertura degli stadi mi sovviene un episodio tutto mio (mio padre non c’entra perché riguarda il periodo del Parma calcio in serie A ed era ormai troppo anziano per frequentare lo stadio). Il Parma era stato promosso in serie A dopo un campionato trascinante ed entusiasmante, finalmente salivamo nell’Olimpo: da parte mia non ripudiavo gli anni difficili, quelli gloriosi e sofferti. La partita d’esordio in serie A ci metteva in soggezione davanti alla Juventus ed un pubblico strabocchevole si preparava a varcare i cancelli del “Tardini” frettolosamente ampliato e ristrutturato, messo a nuovo anche se non ancora pronto per un ruolo diverso.
Si respirava un’aria di attesa ma anche di confusione e di disorganizzazione da esordio, tale da creare una ressa pazzesca all’ingresso ed una lunga coda sotto un sole ancora cocente, in un clima nuovo a cui non si era abituati. Mi venne spontanea una battuta, molto meno bella rispetto a quelle che elargiva mio padre con la sua solita nonchalance, che tuttavia risultò abbastanza buona e fu accolta con una risata generale: “Mo se stäva bén quand al Pärma l’era in serie B o C. A s’ gnäva al stadio a l’ultim minud, sensa còvvi e sensa confuzjón. Quäzi, quäzi, tornaris indrè”.
Indietro per molti anni il Parma non c’è tornato, ma poi è successo e nonostante ciò tiene banco un velleitario ma innovativo progetto di “stadio socialmente aperto ed affaristicamente rilanciato”. La mia riflessione però prende tutt’altra piega.
I media, per meglio dire “i mangia pane a tradimento del pallone”, si entusiasmano per gli stadi che tornano a riempirsi di pubblico: un segnale di ritorno alla (a)normalità. Possono infatti tirare un respiro di sollievo. Aveva mille ragioni mi madre con le sue ingenue (?) esclamazioni di fronte alla sarabanda degli uomini (e delle donne) che ruotano attorno al calcio: “Co’ farisla tutta ch’la génta lì s’a ne gh’ fìss miga al balón?”. Non avrebbero più pane per i loro denti, il castello crollerebbe rovinosamente ed in effetti qualche cedimento ha cominciato a verificarsi e allora ecco che la riapertura degli stadi tranquillizza tutti: la commedia può ricominciare!
Lasciamo stare i probabili effetti sanitari negativi sulla pandemia: fanno sinceramente pena le migliaia di tifosi scalmanati che tentano di mettersi a posto la coscienza indossando le mascherine. Sono più deleterie, in tutti i sensi, queste ammucchiate o le scelte e le manifestazioni dei no vax? Sui no vax, peraltro prevedibilmente sporcati dalle strumentali violenze dell’estrema destra (non è forse così anche per certe tifoserie calcistiche?), si è abbattuta la scure degli spropositati e sconclusionati interventi della polizia, ma sui tifosi non si può, bisogna lasciarli sfogare. Si ripete il solito indirizzo nella difesa dell’ordine pubblico: estrema durezza al limite della vessazione contro i manifestanti a sfondo politico, i no global ad esempio, tolleranza verso gli fasciacarrozze calcistici funzionali al sistema. No global, no vax: tutto ciò che mette in discussione il sistema va bastonato duramente, mentre il casino che fa da supporto al sistema è benevolmente trattato.
Lo show è ripreso sugli spalti, ma anche sui campi. Mentre i tifosi hanno ricominciato ad abbaiare alla luna calcistica, i giocatori esultano per il nulla delle loro imprese pedatorie, gli allenatori protestano per il lussuoso stillicidio dei risultati che non arrivano, gli arbitri, con tanto di var al seguito, diventano sempre più penosi protagonisti dello spettacolo. Una mastodontica riedizione della manzoniana scena dei capponi di Renzo. A proposito di Manzoni, non ci facciamo mancare nemmeno le grida e gli untori…
Si stava meglio quando si stava peggio: gli stadi vuoti davano un po’ di tristezza, ma forse significavano anche un po’ di ritorno al calcio giocato. Adesso invece con la riapertura dei cancelli abbiamo rimesso a posto le lancette: tutto è tornato come prima e più di prima. In fin dei conti, il delirar vale e sta andando tutto bene.