“La corsa per la poltrona di sindaco di Roma riapre un fronte che divide da sempre la politica e l’opinione pubblica: le imposte non versate allo Stato italiano dalla Chiesa cattolica, a cominciare dall’Imu per finire alla tassa sui rifiuti. Una polemica che parte dalla Capitale, concentrato degli interessi economici degli ordini religiosi, coinvolge tutti i Comuni e arriva in Lussemburgo, dove nel novembre del 2018 la Corte di giustizia europea ha imposto al governo italiano di recuperare le somme non raccolte tra il 2006 e il 2011.
A innescare la questione è Enrico Michetti, il candidato del centrodestra, che sul tema sveste i panni del tribuno e indossa le scarpette da equilibrista: “Per me la Chiesa rappresenta un grande valore, so cosa fa in termini di solidarietà e sussidiarietà. Forse altri vorranno attuare una politica di forte contrasto laico nei confronti della Chiesa. Non è la mia strada. Io chiederò di andare a parlare con la Segreteria di Stato e nel discorso complessivo si affronterà anche la politica dei tributi ma la Chiesa verrà messa nelle condizioni ideali per fare il miglior Giubileo possibile”.
Michetti evidentemente ignora che i termini per il pagamento delle tasse sui fabbricati di proprietà degli enti religiosi, sono già stabiliti da una legge dello Stato, mentre ai Comuni è affidato il compito, complesso ma lineare, di individuare le attività ricettive che assegnano alloggi a prezzi di mercato e riscuotere il tributo. Come Michetti, si muove sul filo dell’equilibrio anche Roberto Gualtieri, il candidato del Pd che prima di assumere l’incarico di ministro dell’Economia è stato presidente della Commissione per i problemi economici e monetari del Parlamento europeo. “Papa Francesco – commenta Gualtieri – è più volte intervenuto sul dovere di tutti nei confronti dell’erario. Riguardo a molti temi, come innanzitutto il Giubileo che si svolgerà a Roma nel 2025, l’assistenza e il volontariato a beneficio dei cittadini più fragili, stabiliremo una relazione di profonda e operativa collaborazione con la Chiesa”.
Sembra voler affrontare una querelle che inizia da lontano. 1992, il governo Berlusconi istituisce l’Ici esentando dal pagamento i fabbricati riservati “all’esercizio del culto”. Nel 2005 (altro governo Berlusconi) la platea dei beneficiari viene ampliata aggiungendo anche gli immobili come alberghi o cliniche che non hanno solo finalità commerciali. L’ultimo cambiamento lo firma nel 2012 il governo di Mario Monti con l’istituzione dell’Imu e l’azzeramento delle esenzioni per gli enti ecclesiastici impegnati in attività commerciali. Nel frattempo una serie di ricorsi presentati all’Unione europea da imprenditori laici riaprono la vicenda prima a Bruxelles, quindi alla Corte di giustizia europea in Lussemburgo, e portano alla sentenza del novembre 2018 che impone appunto all’Italia di pretendere il pagamento per gli anni 2006-2011.
Tre anni dopo quella sentenza è ancora lettera morta, complici gli stessi Comuni che non hanno mai censito con esattezza quanti sono gli ordini religiosi impegnati in attività commerciali. Pochi dati quindi, ma tante stime: nel 2019 un disegno di legge firmato dal Movimento 5 Stelle riporta la cifra di 800 milioni di euro l’anno (4,5 miliardi nel quinquennio), mentre uno studio dell’Agenzia per la ricerca economico sociale (Ares) parla di 45mila immobili e 11 miliardi di euro (2,2 miliardi l’anno, dunque 11 nel quinquennio).
L’unico dato ad oggi certo riguarda Roma e viene raccolto nel 2015 dai Radicali al termine di un lungo e complesso accesso agli atti presso gli uffici del Campidoglio. Nel documento vengono classificate 273 strutture ricettive presenti nella capitale, di cui appena il 38% in regola con il versamento dei tributi. La Chiesa da parte sua si è sempre detta pronta a rispettare la legge. Lo ha promesso Nunzio Galantino, presidente dell’Apsa (l’ente che amministra il patrimonio del Vaticano), e lo ha dichiarato lo stesso Papa Francesco ribadendo che “un collegio religioso, essendo religioso, è esente dalle tasse, ma se lavora come albergo è giusto che paghi le imposte. In caso contrario, il business non è pulito”.
La teoria mette d’accordo tutti. Sulla pratica c’è ancora molto da lavorare”. (Articolo a firma di Daniele Auteri pubblicato su La Repubblica dell’08 ottobre 2021).
Sono da sempre pervicacemente convinto che la Chiesa Cattolica debba smettere di fare la furba alla ricerca di privilegi pubblici di vario genere, anzitutto di carattere fiscale. Non ci si può nascondere dietro le attività a sfondo socio-assistenziale per non pagare le tasse: il bene va perseguito e fatto alla luce del sole, senza pensare minimamente di dare a Dio e al prossimo quel che è di Cesare. Quindi, se devono essere recuperate imposte non pagate nel periodo dal 2006 al 2011 non si aspetti che il governo e gli enti locali adempiano i loro obblighi a livello burocratico, si calcoli e si paghi spontaneamente, provvisoriamente e approssimativamente in attesa che i pubblici poteri determinino con precisione quanto dovuto. Si tratta di alcuni miliardi di euro non di noccioline.
Da cattolico e da cittadino mi fa letteralmente schifo l’atteggiamento strumentalmente titubante e morbidamente possibilista dei candidati a sindaco di Roma: dicano pane al pane e vino al vino, il di più viene dal maligno. Se un povero cristo qualsiasi in campo fiscale commette un errore lo si aggredisce senza pietà, a chi deve miliardi di tasse, all’ombra del cupolone o giù di lì, si concedono tempi infiniti e discussioni atte a confondere le acque dell’evasione.
Per Berlusconi i piaceri fiscali e finanziari fatti alla Chiesa servivano a coprire persino l’esercito delle olgettine, ma anche gli altri non sono da meno nella corsa a concedere benefici in cambio di appoggi elettorali. È ora di finirla!
Il candidato del Pd, Roberto Gualtieri, abbia lo stesso coraggio che ebbe De Gasperi agli inizi del 1952 con la campagna elettorale per le elezioni amministrative a Roma e in altri Comuni italiani. Terrorizzati dalla possibilità di una vittoria delle sinistre nella capitale, alcuni cattolici conservatori, fra cui il presidente dell’Azione cattolica Luigi Gedda e mons. Roberto Ronca, sostennero che la Democrazia cristiana avrebbe dovuto formare una coalizione di centrodestra con i monarchici e i neofascisti del Movimento sociale italiano. Il Papa li appoggiò, ma De Gasperi non volle rinunciare alla politica centrista con cui aveva governato sino ad allora il Paese e rifiutò di obbedire alle pressioni che gli giungevano dal Vaticano.
Era cattolico, ma credeva nell’autonomia del governo ed era convinto che l’alleanza con le destre avrebbe nuociuto alla credibilità della Dc. I fatti gli dettero ragione e i partiti di centro, a Roma, riuscirono a conquistare il Comune.
A Gualtieri (a Michetti evito di chiederlo perché immagino la sua tattica di riferimento al mondo clerico-fascista che spadroneggia a Roma da quel dì) vorrei chiedere cosa sceglie fra la tattica degasperiana, vale a dire l’andare in chiesa per pregare, e la tattica andreottiana, vale a dire andare in chiesa per confabulare con i preti.
Ai preti di ogni ordine e grado chiedo di abbandonare ogni e qualsiasi privilegio e protezione: il Vangelo è molto più severo della Corte di giustizia europea e molto più lineare del fisco italiano. Don Andrea Gallo affermava: «La Chiesa deve vivere delle offerte dei suoi fedeli, non di ricche e non disinteressate mance del principe. Oltre tutto il principe i soldi per quelle mance li preleva dalle tasche di tutti, fedeli e non».