L’umanesimo senza l’uomo

Non sono un esperto di informatica, faccio molta fatica a destreggiarmi elementarmente con il computer: ogni volta che lo accendo mi prende l’ansia di rimanere imballato tra un copia/incolla ed una mail che non parte o non arriva. Non ho ancora preso la sofferta decisione di dotarmi di uno smartphone e ammetto di invidiare cordialmente le persone anziane come me, che riescono disinvoltamente a manovrarlo col loro ditino facile. È la doverosa premessa alla mia riflessione sull’intromissione sul web, a suon di ricatti, degli hacker, che hanno il potere di mandare in tilt il sistema informatico su cui è ormai basato il nostro vivere sociale.

Chi è un hacker? Un dilettante appassionato di informatica, capace di introdursi senza autorizzazione in reti protette di computer o di realizzare virus informatici. Il fenomeno sta diventando assai preoccupante perché, mentre all’inizio si poteva pensare ad una marachella in versione informatica simile a quella dei ragazzacci di un tempo, che rubavano i registri di classe per salvare la propria incolumità scolastica, oggi siamo ai clamorosi ricatti verso il sistema, vale a dire ad un vero e proprio terrorismo tecnologicamente avanzato. Si tratta di azioni capaci di mettere in crisi procedure e memorie della pubblica amministrazione e del mondo aziendale, di mandare in tilt il castello di informazioni in cui viviamo. Incredibile, ma vero.

In un certo senso la questione è molto simile a quella dei virus che attaccano l’incolumità fisica delle persone e con essa tutto il sistema relazionale. Gli hacker, una sorta di novelli barbari o pirati come dir si voglia, attaccano l’incolumità dei nostri computer e con essa dei dati contenuti nelle memorie pubbliche e private: una vera e propria indotta amnesia globale, che mette tutti al tappeto.

Da una parte i sistemi di vita assumono connotati sempre più sofisticamente avanzati, dall’altra parte la delinquenza si adegua e combatte ad armi pari per distruggere una labile impalcatura che pensavamo intoccabile. Di tecnologia si vive e si muore.

I gridi d’allarme sono piuttosto ridicoli: la realtà è questa e purtroppo non siamo in grado di prevederla e di prevenirla. Ora sarebbe interessante vedere se il difetto stia nella lama (incapacità di difesa contro gli hacker) o nel manico (errore di fondo nell’assegnare al progresso tecnologico non la funzione di strumento ma quella di scopo). Come noto basta un granello di sabbia per rovinare il più sofisticato dei meccanismi: è colpa dell’aggressività della sabbia o della debolezza congenita dei meccanismi.

Pensavamo di essere inattaccabili nella nostra impostazione di vita, basta poco per buttare all’aria tutte le nostre certezze. Se un virus può mettere in crisi il mondo intero, se un hacker può mettere in ginocchio il sistema, significa che dobbiamo rientrare in noi stessi e forse ricominciare tutto daccapo su basi completamente diverse. Sì, stiamo assistendo non alla fine del mondo, ma alla fine di un mondo, il nostro mondo, che non ha niente a che vedere con quello creato da Dio o comunque con quello avviato dalla natura.

Non illudiamoci di ripristinare i file perduti, di rimettere in piedi l’economia distrutta, di riallacciare i rapporti come se niente fosse successo. Siamo in braghe di tela, non c’è vaccino che tenga, non c’è difesa che funzioni.  Di cosa stiamo parlando? Di rendere obbligatorio un vaccino ritenendolo il toccasana, il talismano sufficiente a far andare bene le cose. Di organizzare una barriera informatica contro i malintenzionati del web, illudendoci che basti chiudere la stalla dopo che i buoi sono scappati. È in crisi l’umanesimo! O ne troviamo un altro o andiamo a farci benedire da Dio, ammesso e non concesso che abbia qualche interesse alle nostre presuntuose vite da nababbi.