Ottant’anni e non li dimostrano. Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella li ha compiuti il 23 luglio. Il maestro Riccardo Muti, poco dopo, il 28 luglio. Si sono trovati a farsi gli auguri nel cortile del Quirinale, dopo il concerto diretto da Muti in apertura del G20 della cultura, in corso a Roma. L’occasione per scambiarsi gli auguri e ringraziarsi a vicenda per il lavoro svolto. A sorpresa Muti ha regalato la sua bacchetta al presidente, che ne è parso molto soddisfatto. Sullo sfondo di un Quirinale sfavillante si stagliava però malinconicamente l’incombente fantasma del semestre bianco.
Il semestre bianco è il periodo di tempo corrispondente agli ultimi sei mesi del mandato del Presidente della Repubblica Italiana, durante il quale il Presidente non può sciogliere le Camere. Tale limitazione intende evitare colpi di mano da parte del Presidente, il quale potrebbe sciogliere le Camere quando manca poco tempo alla scadenza del suo mandato con l’intenzione di posticipare l’elezione del proprio successore o addirittura di sbarazzarsi di un parlamento non favorevole alla sua rielezione o all’elezione di un candidato avente il suo sostegno.
Bisogna proprio dire che i costituenti la sapevano lunga, forse fin troppo: non volevano interferenze e rischi istituzionali, venivano da un’Italia scottata e avevano giustamente paura anche dell’acqua fredda. Fatto sta che dal 03 agosto Sergio Mattarella è entrato trionfalmente nel suo semestre bianco, attirando su di sé l’attenzione per un uomo affascinante per la sua discrezione che ne nasconde virtù e meriti. È significativo che il maestro Muti con un gesto eloquente gli abbia messo in mano la bacchetta, non quella magica, ma quella che spetta di diritto a chi ha diretto e dirige il Paese. E proprio nel momento in cui a Mattarella veniva meno un potere, quello cioè di sciogliere le Camere qualora queste non siano all’altezza del compito loro assegnato.
La politica, nel breve periodo fino all’inizio di febbraio 2022, è parlamentarmente ingessata, nessuno la può toccare. Servirà ad una responsabilizzazione mai così utile e necessaria oppure sarà l’occasione per una sorta di ostruzionismo parlamentare, di melina attendista col rischio di trasformare il parlamento in pirlamento (così mi disse tempo fa un’anziana, intelligente e simpatica signora)?
In questa situazione di estrema difficoltà per il Paese cui purtroppo fa riscontro un’estrema debolezza della politica, non a caso commissariata seppure ad altissimo livello, l’unica certezza democratica è rappresentata da Sergio Mattarella e dalla sua saggia capacità di “garantire il rispetto della Costituzione e rappresentare l’unità nazionale”. Tutto consiglierebbe che egli venisse al momento opportuno riconfermato in attesa di tempi migliori.
Lui ha espresso la ferma volontà di farsi da parte e non mi sembra il tipo da pretattica o da sceneggiata: c’è da credergli. Tuttavia si potrebbe anche tentare di dissuaderlo da questo pur sano proposito in nome del bene dell’Italia che ha ancora bisogno della sua guida. Anche perché, diciamola tutta, tremo all’idea che l’attuale parlamento abbia il compito di nominare il successore per i prossimi sette anni. Tutta l’attuale legislatura è stata condizionata dalla mancanza di una vera e propria maggioranza politica e infatti ci sono volute l’abilità e la correttezza mattarelliane per garantire un minimo di continuità democratica a livello politico-parlamentare. Quindi quale maggioranza sarà in grado di nominare il successore di Mattarella, ammesso e non concesso che una simile fondamentale scelta debba avvenire a colpi di maggioranza e non sulla base di più larghe convergenze impossibili in un parlamento rissoso e dispettoso?
D’altra parte, politicamente parlando, esiste il rischio che demandare al futuro parlamento (quello che uscirà dalle elezioni del 2023) la nomina del successore di Mattarella potrebbe significare, stando alle profezie sondaggistiche, concedere al centro-destra la nomina del presidente come ciliegiona sulla torta di un lungo periodo di egemonia, socio-culturale prima che politica. Ma sarà poi vero che gli italiani nel 2023 voteranno alla viva il parroco, aiutati dall’inconcludenza del cappellano della “inconfigurabile” sinistra?
Un semestre bianco pieno di incognite per il breve e medio termine della politica italiana. I costituenti avevano una concezione lineare e non volevano e potevano prevedere simili complicazioni. Anche Riccardo Muti non ci ha pensato molto: ha consegnato la sua bacchetta a Mattarella, poi, per il futuro si vedrà. Non intendo forzare la bellezza di questo incontro fra un artista della musica e un artista della politica. Il grande direttore d’orchestra, al termine dell’esecuzione della sinfonia del nuovo mondo di Dvorak, ha ripreso una riflessione di Cassiodoro citata dal cardinale Ravasi: “Una delle più grandi punizioni per l’umanità è restare senza musica”. Personalmente ho fatto subito un parallelismo e ho pensato alla punizione per l’Italia di restare senza Mattarella.