L’imbroglione sovietico

Una giornalista statunitense ha messo dialetticamente in crisi Putin con una domanda “bomba” ed è diventata un’eroina di Twitter. Durante la conferenza stampa che ha seguito il primo incontro faccia a faccia con Joe Biden, una giornalista statunitense – Rachel Scott della ABC- ha incalzato Vladimir Putin, sul suo comportamento nei confronti degli oppositori politici. Il presidente russo ha cercato di confrontare gli arresti della sua opposizione politica in Russia con gli arresti dei manifestanti di Black Lives Matter e di quelli coinvolti nell’insurrezione del 6 gennaio a Capitol Hill. Ma Scott lo ha incastrato: “Non ha risposto alla mia domanda, signore. Se tutti i suoi oppositori politici sono in prigione o morti, avvelenati, questo non invia il messaggio che lei non voglia uno scontro politico equo?”. Putin ha risposto: “Alla domanda su chi sta uccidendo chi, alcuni si sono presentati al Congresso negli Stati Uniti con richieste politiche e molti sono stati dichiarati criminali e rischiano la reclusione da 20 a 25 anni. Queste persone sono state immediatamente arrestate dopo quegli eventi. Su quali basi non sempre lo sappiamo. Altri sono stati semplicemente fucilati sul posto e anche disarmati”.

Non ci voleva l’abilità polemica di questa coraggiosa giornalista per capire che Putin è uno dei più grandi “bagoloni” della storia. Alle sacrosante contestazioni non ha niente da rispondere e, meglio, si è addirittura imbrodato finendo col lodare il suo omologo Donald Trump. L’ignobile connubio è finito anche se è molto presto per cantare vittoria. Si è rotta la combinazione tra un rancido rimasuglio del peggior comunismo e la polpetta avvelenata del populismo all’americana. Dei ladri di Pisa, che hanno dominato la scena internazionale, ne è rimasto uno, che fa un po’ fatica a rimanere a galla. Speriamo che non trovi rifugio in una tattica alleanza con i comunisti cinesi (tra massacratori del popolo ci si intende sempre). Biden teme questo e infatti non ha affondato i colpi contro Putin, pur facendogli capire che la musica è cambiata.

Biden ha il pregio, come si suol dire, “d’aver mis i figh a dú la lira” a Putin: è già un bel passo avanti. Il fatto più importante però è quello di avere ridato fiato e peso internazionale all’Europa senza giocare a mettere il dito fra la moglie sovranista e il marito unionista. Siamo tornati a giocare a carte scoperte, ripartendo dalle opzioni democratiche occidentali. Draghi ha colto al volo l’occasione e ci ha rimesso al tavolo a pieno titolo e con voce in capitolo. Non mi interessano più di tanto le scaramucce diplomatiche fra Biden e Putin: rientrano nella ritrovata normalità. Mi interessa il futuro dell’Europa e tiro un respiro di sollievo rispetto al recente passato.

Ricordo ancora una volta cosa successe in Scozia durante la campagna elettorale referendaria sulla brexit. La propensione scozzese – seppure almeno in parte strumentale rispetto alle loro mire indipendentiste – verso l’Unione europea, è sfociata in rabbia ed ha trovato, per ironia del destino, un ulteriore motivo di ribellione nelle parole proferite proprio in Scozia nei giorni del referendum dall’aspirante candidato repubblicano alle presidenziali americane, Donald Trump: «Vedo un reale parallelo fra il voto per Brexit e la mia campagna negli Stati Uniti». Come riferiva Pietro Del Re, inviato di Repubblica, nel pub di John Muir a Edimburgo, quando Trump è apparso in tv, tutti i clienti si sono avvicinati allo schermo. Poi hanno tutti assieme cominciato a urlargli insulti di ogni genere, il cui meno offensivo è stato senz’altro “pig”, porco.

La porcilaia si è poi storicamente allargata, consolidata e si rischiava di non uscirne più.  Trump infatti ha rispettato le premesse e mantenuto le promesse: è stato il più autorevole ed acerrimo nemico dell’unità europea. Anche all’Italia ha mandato parecchi messaggi di incoraggiamento per un’uscita dalla Ue, promettendo in cambio aiuti e appoggi. Fortunatamente non se ne è fatto niente. Finalmente abbiamo trovato la porta per uscire dalla porcilaia in cui Trump ci aveva infilato. Adesso si tratta di ripartire col piede giusto.

Non sono mai stato un filo-americano di maniera, non ho mai preso per oro colato il verbo statunitense, ho sempre visto arrivare nel nostro Paese l’onda più o meno lunga delle discutibili scelte culturali e politiche provenienti dagli Usa. Questa volta è arrivata una ventata d’aria respirabile. Non mi illudo, ma spero che Biden possa essere interlocutore affidabile per nuovi processi di collaborazione e sviluppo. Putin continui pure a fare il furbo, ma, se l’occidente sa rimanere unito e si attesta su determinati principi democratici, ha poco da muovere. Può insolentire i giornalisti, può fare il gradasso in patria, può cannibalizzare le opposizioni, può cercare di ricattare altri Stati, può dare fastidio, anche se, come noto, una noce, seppure grossa, in un sacco non fa molto rumore. Tutta la mia solidarietà ai suoi coraggiosi oppositori. Ho l’impressione che stiano facendo due coraggiose e meritevoli battaglie in una: contro la mafia di stato e contro il regime autoritario. Sarà dura.