Il cinismo galantuomo

In che mondo viviamo? Con una pandemia in atto, prima facciamo finta di niente e liberalizziamo tutti i comportamenti e poi cominciamo a parlare e minacciare di stringere i cordoni della borsa quando si sta svuotando. Se non è schizofrenia individuale e collettiva, cos’è?

No, non siamo tutti stupidi, siamo soltanto comodamente seduti nella poltrona sistemica e non c’è verso di farci alzare. Tutto sommato i governanti e i politici più seri e coerenti sono i (quasi) negazionisti alla Boris Johnson ed alla Matteo Salvini: hanno il coraggio di ammettere che la ragione di sistema deve prevalere su quella di Covid. In Inghilterra si riapre tutto nonostante la dilagante ripresa dei contagi: non c’è covid che tenga, chi è sano speri di continuare ad esserlo, chi si ammala speri di guarire e chi muore ha risolto tutti i suoi problemi. L’importante è rimettere in moto la macchina a costo di andare a sbattere.

“Diminuiscono i morti e i ricoverati, aumentano i contagi. Attenzione sì, terrore no. Rispetto delle regole sì, allarmismo e chiusure no”. Lo dice il leader della Lega Matteo Salvini. Un modo più elegante per sostenere la stessa tesi di Boris Johnson.

Questi discorsi pseudo-suicidi hanno una loro coerenza: nella nostra società in priorità non c’è la vita, ma l’economia, non c’è la salute, ma l’affarismo, non c’è l’incolumità personale, ma la follia totale. Visto così, tutto assume una logica seppur perversa e autodistruttiva, ma anche autodifensiva. Non mi scandalizzo di chi vuole salvaguardare a tutti i costi lo status quo. È la versione totalizzante della “reazione”.

Mi stupisco e mi innervosisco molto di più con chi dovrebbe essere portatore di una visione etica, sociale e politica diverse: la vogliamo chiamare sinistra? Le ideologie di questa parte non si sono purtroppo mai fatte scrupolo di sacrificare le vite umane in nome di un fantomatico progresso sociale e questo ideologismo, più che datato, continua a condizionare il cosiddetto “riformismo”: non si procede secondo un graduale disegno di cambiamento delle mentalità e degli assetti, ma si va a strappi, si cammina a zig-zag, si dà un colpo al cerchio e uno alla botte. Si apre e si chiude a seconda del momento e soprattutto con l’intento di non disturbare più di tanto il manovratore.

Se questa è la versione riveduta e scorretta dell’ideologismo di sinistra ammantato di riformismo, dobbiamo fare i conti anche con gli utopismi fragili emergenti: l’ecologismo fine a se stesso e il laburismo testardo. Della serie “caschi il mondo, ma non si può tagliare nemmeno una pianticella” oppure “caschi il mondo, ma non si può licenziare nessuno”. Il dogmatismo, che serve solo a lasciare le cose come stanno, mettendo a posto la coscienza.

Non so cosa direbbero oggi Adam Smith e Karl Marx, così diversi e così uguali; certamente farebbero fatica a raccapezzarsi, aggirandosi fra le rovine ideologiche che anch’essi hanno contribuito a provocare. Non è il caso di prendere in considerazione la storia delle dottrine economiche, anche perché, tutto sommato, quella vincente in tempo di pandemia è il malthusianismo, secondo cui la popolazione tenderebbe a crescere in misura superiore a quella delle risorse disponibili, con un conseguente progressivo immiserimento delle condizioni di vita, se non si verificassero epidemie, carestie e guerre. Ben vengano, stringi-stringi, le pandemie, le alluvioni, la fame, i conflitti armati: la disgrazia di molti serve a garantire la sopravvivenza e, ancor più, il benessere di pochi.

Questo è il cinismo con cui agiamo a tutti i livelli: dopo la pandemia non siamo più uguali a prima, siamo ancora più cinici, sadici e masochisti. Attenzione anche al papa: l’unica voce dissonante in questo coro a bocche aperte a destra e chiuse a sinistra. Sì, attenti, perché la fagocitazione è pronta a divorare anche le encicliche papali. “Quante divisioni ha il papa?”. Ricordate? Questa la sprezzante e famosa frase di Stalin alla conferenza di Yalta del febbraio 1945, dove i “Tre Grandi” decidevano i destini dell’Europa e del mondo dopo che la guerra fosse finita. «Non mi farò influenzare dal Papa», questa la risposta di George W. Bush agli appelli di Giovanni Paolo II per scongiurare l’intervento contro l’Iraq. Attualmente esiste un modo più subdolo ma analogo per seppellire i richiami etici papali sotto la valanga dell’(im) possibilismo e del continuismo.