La grande ve(n)detta ligure

I fatti del G8 di Genova sono stati una serie di eventi avvenuti nella città di Genova a partire da giovedì 19 luglio sino a domenica 22 luglio 2001, contestualmente allo svolgimento della riunione del G8. Durante la riunione dei capi di governo dei maggiori paesi industrializzati svoltasi nel capoluogo ligure da venerdì 20 luglio a domenica 22 luglio e nei giorni precedenti, i movimenti no-global e le associazioni pacifiste diedero vita a manifestazioni di dissenso, seguite da gravi tumulti di piazza, con scontri tra forze dell’ordine e manifestanti. Durante uno di questi venne ucciso il manifestante Carlo Giuliani.

Le rievocazioni e le ricostruzioni si sprecano: la storia merita di essere rivissuta in modo spietatamente obiettivo e critico. Molti giovani d’oggi non erano ancora nati o erano all’asilo infantile. Purtroppo io ero già in età anagraficamente e politicamente matura e vissi quegli avvenimenti col dramma interiore di chi condivide le motivazioni della protesta, ma non può aderire ai metodi violenti e rifiuta però drasticamente e visceralmente la reazione del potere a suon di cariche della polizia, di arresti, di spedizioni punitive, di interventi massacranti in un bailamme sociale che Amnesty International ha definito come “la più grande sospensione dei diritti umani e democratici dalla Seconda Guerra Mondiale in Europa”.

I temi caldi che bollivano sotto il fuoco della protesta riguardavano globalizzazione, neoliberismo sfrenato, riscaldamento globale, disuguaglianza sociale sempre più netta, politiche migratorie sbagliate: letti a 20 anni di distanza, i motivi che portarono in piazza i Social Forum a Genova sono gli stessi che ci inquietano oggi. Sono passati 20 anni e viviamo in un mondo che è molto diverso da quello di quell’estate, eppure, già all’epoca, i motivi per essere preoccupati per il futuro delle nostre società non erano poi così diversi da quelli che ora sono i motivi del terrore per il presente delle stesse: neoliberismo sregolato, legalità dei paradisi fiscali, dominio della finanza sull’economia, impoverimento delle classi medie a livello internazionale, aumento dell’ingiustizia sociale a livello internazionale, insostenibilità delle politiche economiche fondate sul debito, polarizzazione della distribuzione delle ricchezze, sregolato aumento del potere del privato sul pubblico, delle multinazionali sugli stati, delle lobby sui parlamenti, instabilità mediorientale, diffusione endemica di xenofobia e razzismo.

La protesta in questo ventennio si è parcellizzata e sparpagliata in diversi rivoli, perdendo gran parte della sua forza d’urto, ma guadagnando in termini propositivi e costruttivi. Allora mi chiedevo dove collocarmi: tra i manifestanti in tuta o fra i filo-governativi in giacca e cravatta. È sempre stato il dramma del mio impegno socio-politico: nel sistema o contro il sistema? Ho scelto, con la morte nel cuore, di schierarmi all’interno della realtà sociale, sforzandomi di viverla concretamente in adesione ai principi ed ai valori della sacrosanta contestazione. Una gara durissima che mi ha sempre lasciato l’amaro in bocca.

Non è il caso di operare una nostalgica revisione di vita, ma di rivalutare la protesta quando è coraggiosamente volta a far scoppiare le contraddizioni della società in cui viviamo. Sarebbe interessante rivisitare tutti i temi che spingevano nelle strade e nelle piazze di Genova a sfogare anche rabbiosamente le profonde insoddisfazioni verso il sistema e le sue ingiustizie. Ci accorgeremmo che siamo ancora lì, almeno nella sostanza. La natura forse ha preso il posto dei no-global, dei pacifisti, degli ecologisti, non andando troppo per il sottile e adottando il metodo dei black-bloc, vale a dire quella tattica che ha dato il nome a un gruppo di individui di molteplici nazionalità dediti ad azioni di protesta spesso violenta e caratterizzata da atti vandalici, devastazioni, disordini e scontri con le forze dell’ordine.

La natura si sta incaricando di sbatterci violentemente in faccia tutto il marcio delle nostre società, di distruggerne le propaggini e di metterne in discussione le radici. Con la “piccola” differenza che le forze della natura non le possiamo confinare nelle caserme per criminalizzarle e massacrarle di botte. Stiamo soffrendo la catastrofica e inconsapevole vendetta dei contestatori, tacitati coi metodi sbrigativi e vomitevoli del potere. L’amaro in bocca mi cresce a dismisura anche perché non ho più la forza fisica per impegnarmi dal di dentro e, se anche mi sforzassi di ritrovarla, non saprei dove incanalarla. A stretto rigore dovrei rifugiarmi nostalgicamente tra i contestatori di oggi. Ci provo: le sardine si sono squagliate, c’è Greta che fa tanta tenerezza con i suoi ingenui cartelloni e i vaffanculisti grillini che fanno sbudellare dal ridere.