Lavoro: un diritto che (purtroppo) non opera di diritto

Nella riviera Adriatica mancano all’appello 7.000 lavoratori stagionali, 5.000 nel settore ricettivo, balneare e negli alberghi e 2.000 nella ristorazione. Le stime sono dell’Associazione albergatori di Rimini e di Confcommercio. “La flessione degli stagionali non riguarda soltanto l’Emilia-Romagna, è un problema nazionale ed è confermata da diverse associazioni di categoria. Federalberghi indica addirittura in 200mila unità la carenza degli stagionali nel settore viaggi e ospitalità. Un calo generalizzato sulle stime e le percentuali precedenti del 50-75%. Le ragioni di questa carenza sono molteplici”: afferma in una nota il segretario regionale Emilia-Romagna dell’Ugl Tullia Bevilacqua. “La crisi pandemica e il rallentamento delle attività per lunghi mesi di alcuni settori chiave della nostra economia, come il turismo e l’ospitalità, ha spinto molti lavoratori stagionali a cercare occupazione altrove: in agricoltura, per esempio, o nei cantieri privati e in edilizia che è ripartita con i superbonus”: aggiunge ancora il segretario di Ugl Emilia-Romagna.

“Ogni anno di questi tempi parliamo della difficoltà a incrociare domanda e offerta di lavoro. Ma il Covid-19 e l’entrata a pieno regime del reddito di cittadinanza hanno evidenziato negli ultimi due anni anche un’altra realtà che andrebbe approfondita: molti giovani preferiscono percepire il sussidio che trovare un lavoro che garantirebbe un reddito inferiore. Non è demagogia dirlo, ma un’evidenza confermata dagli studi di settore di alcune associazioni di categoria da Nord a Sud del Paese ed è stato lo stesso governo a certificarne l’aumento delle domande per il 2021 rifinanziamento con un miliardo di euro il programma nazionale del reddito di cittadinanza”: continua Tullia Bevilacqua. “La posizione dell’Ugl è nota il reddito di cittadinanza e i vari sussidi a pioggia fondati su una logica meramente assistenziale si sono rivelati fallimentari, si devono correggere i meccanismi distorsivi che hanno compromesso il sano incontro fra domanda e offerta di lavoro, creando occupazione stabile attraverso un serio piano di politica industriale, sostenuta da poderosi investimenti, e incentivando l’assunzione dei giovani e delle donne, le categorie più danneggiate da crisi economica e pandemia, regolando l’accesso della forza lavoro straniera in Italia attraverso un sistema stabile di quote, contro ogni logica di sanatoria che alimenta lavoro nero e sfruttamento”: propone il segretario di Ugl Emilia-Romagna.

Il tema è oggetto – l ‘impiego dei percettori del reddito di cittadinanza in mansioni lavorative – è in queste ore al centro del dibattito politico ed economico nazionale. “C’è chi ha proposto in parlamento di imporre ai percettori del reddito di cittadinanza di accettare lavori stagionali pena la decadenza del sussidio, ma come era prevedibile l’idea è stata bocciata senza nemmeno superare l’ammissibilità della Commissione Bilancio della Camera. La questione dell’approdo al mondo del lavoro per chi percepisce il sussidio rimane dunque aperta”: conclude il segretario regionale Emilia-Romagna dell’Ugl Tullia Bevilacqua.  

Ho fatto riferimento alla posizione dell’Unione Generale del Lavoro (prendendola dal giornale on line Riminitoday), un’associazione sindacale che ha in questo momento il coraggio di mettere apertamente il dito in una doppia piaga: la mancanza di lavoro da una parte, la mancanza di forza lavoro dall’altra. È da tempo che domanda e offerta di lavoro non si incontrano e ciò aggiunge problema al già esistente problema dei problemi, vale a dire la carenza di lavoro.

Su questa tematica è facilissimo fare della demagogia, in senso populistico o in senso reazionario, quindi bisogna armarsi di sano realismo, che però non deve diventare mera accettazione dei meccanismi del sistema in cui viviamo. Dobbiamo rassegnarci, per onestà intellettuale prima che per analisi di politica economica, a non considerare il fattore lavoro come una variabile indipendente. Pur essendo l’Italia una repubblica democratica fondata sul lavoro (o sulla ricerca del lavoro, come dice ironicamente Maurizio Crozza), tale fondamento non può prescindere da quanto su di esso si può costruire. Lavorare è un diritto, ma il lavoro purtroppo non opera di diritto, dipende da un mercato in cui devono incontrarsi domanda e offerta, un mercato che però deve essere condizionato da regole che garantiscano al massimo i lavoratori potenziali ed effettivi e influenzato da politiche che allarghino e sviluppino le possibilità di lavoro.

Ci sono due logiche sbagliate per uscire da questo penoso ed inaccettabile inghippo: quella di sussidiare chi non riesce a trovare lavoro e quella di lasciare che il mercato faccia il suo corso a prescindere dalla vita e dalla morte dei lavoratori. Due logiche che si incrociano sulla pelle dei lavoratori stessi: scoraggiandoli e collocandoli in una illusoria, insufficiente e poco dignitosa posizione di mera sussistenza, abbandonandoli a loro stessi in una sorta di “lavori e si salvi chi può”.

Il reddito di cittadinanza, un sacrosanto sostegno a chi non ce la fa, finisce forse con l’interferire sul mercato del lavoro, sottraendo ad esso una fetta di offerta che preferisce rifugiarsi nell’assistenzialismo piuttosto che affrontare la difficoltà di occupazioni temporanee e precarie. La domanda di lavoro a volte non trova riscontro e finisce col ripiegare opportunisticamente sullo sfruttamento dei disperati senza lavoro e senza protezione sociale.

Al tanto chiacchierato e discusso reddito di cittadinanza si attaglia un proverbio, attribuito (pare erroneamente) a Confucio, che sostiene: “Date a un uomo un pesce e mangerà un giorno. Insegnategli a pescare e mangerà tutta la vita”. Di pesci la nostra società ne regala parecchi: una scuola facile che non prepara al lavoro, una mentalità del tutto è dovuto che disincentiva i giovani rispetto all’impegno e al sacrificio, un carrierismo ed un rampantismo che rovinano i cuori e i cervelli, una imprenditorialità d’accatto che inquina l’economia. Quanto ad insegnare a pescare si incontrano purtroppo l’interesse a lasciare nell’ignoranza e la pigrizia del rimanervi.

Un tempo si bollavano i riformisti come amici del giaguaro del capitalismo, salvo poi scoprire che i veri amici del giaguaro stavano dalla parte dei rivoluzionari dei miei stivali: non c’è altro da fare che perseguire con fatica e fantasia il riformismo. Il problema del lavoro ne costituisce forse il nodo fondamentale e riassuntivo. La sinistra politica e sindacale devono rimboccarsi le maniche e magari anche sporcarsi le mani.

Bisogna in qualche modo cambiare marcia: se il reddito di cittadinanza costituisce una sorta di freno di emergenza che evita solo il peggio, revisioniamo tutta la macchina e poi partiamo riempiendo il serbatoio del lavoro e guidando la macchina a velocità di crociera.