La politica frettolosa fa gli italiani ciechi

Si ricomincia a parlare e scrivere dell’elezione del nuovo presidente della repubblica intrecciando “retroscenicamente” discorsi di carattere istituzionale e di tipo politico. La storia insegna che le nomine del capo dello Stato sono sempre avvenute in barba alle previsioni e sulla base di accordi politici piuttosto estemporanei e al di fuori dei rigidi schieramenti partitici. Ciò non toglie che la scelta quirinalizia abbia uno forte valenza politica e possa influenzare l’evoluzione della politica stessa. La nostra non è una repubblica presidenziale, ma comunque i poteri e le aree di influenza del capo dello Stato sono molti e possono incidere in modo determinante sulla vita del Paese.

Il presidente uscente, Sergio Mattarella, ha fatto sapere da tempo che all’inizio del 2022 non intende candidarsi ad una riconferma, ritenendo addirittura opportuna al riguardo una modifica costituzionale che eviti comunque tale eventualità. Mi permetto di non essere d’accordo con Mattarella, né per questo momento storico né in linea generale. Non vedo perché si debba escludere a norma di Costituzione il rinnovo dell’incarico: capisco la preoccupazione di garantire un certo rinnovamento e di evitare la personalizzazione dei rapporti a livello istituzionale, ma anche la continuità può essere un dato positivo così come il consolidamento di certe impostazioni.  Non mettiamo quindi limiti alla parlamentare provvidenza.

L’altra pedina fondamentale sulla scacchiera è quella di Mario Draghi: di lui si parla come del successore di Mattarella, come del personaggio più attrezzato per ricoprire la massima carica dello Stato. Senza nulla togliere al valore di Draghi, sono del parere che a ricoprire l’incarico di presidente della repubblica ci voglia una persona di alta capacità e sensibilità politica, doti che non vedo spiccare dal curriculum draghiano.

Sarebbe molto meglio che Draghi rimanesse al posto che ricopre attualmente e che continuasse a presiedere l’attuale governo o un altro governo che potesse rimettere in piedi il Paese. È inutile nascondere che in molti lo considerino un inquilino scomodo di palazzo Chigi e che quindi ci sia per lui l’ipotesi del “promoveatur ut amoveatur” al fine di agevolare un ritorno della politica nell’alveo politicante. Se andasse al Quirinale, come presidente del Consiglio avrebbe i mesi contati.  I partiti si sentono vedovi dei loro riti e delle loro prerogative e quindi scalpitano per tornare alla piatta normalità a nulla valendo la considerazione del basso livello dell’attuale classe politica e della straordinarietà del periodo storico che stiamo faticosamente vivendo. In poche parole temono che la dieta draghiana possa preludere all’imposizione di un’anoressia al potere: meno si mangia e meno si mangerebbe (l’allusione al verbo mangiare è puramente casuale).

I discorsi e i progetti governativi avviati da Draghi esigono una certa continuità, sono troppo impegnativi per essere consegnati ad una nuova compagine governativa di cui al momento non si intravede la fisionomia adeguata. Draghi deve rimanere al suo posto almeno fino al 2023, vale a dire fino alla scadenza normale per le elezioni politiche. Poi si vedrà: non mi stupirei se ci fosse la necessità di un supplemento governativo pur sciacquato nell’Arno democratico elettorale. Se è vero che la gatta frettolosa fa i gattini ciechi, è molto probabile che una destra populista e sovranista faccia l’Italia miope e una sinistra inconsistente e inconcludente faccia l’Italia presbite. Lasciamo che Draghi metta gli italiani in grado di vedere distintamente vicino e lontano, operandoli di cataratta con l’inserimento di un cristallino artificiale di carattere socio-economico. La metafora può sembrare scontata e banale, ma non lo è.

Qualcuno sta ipotizzando di salvare capra e cavoli, vale a dire di piazzare Draghi al Quirinale fra un anno, sostituendolo a palazzo Chigi con Marta Cartabia, degna erede e persona capace di proseguire al meglio l’impegno della tecnica a stretto servizio della politica. Dico subito che, a prescindere dal valore dell’interessata, non vedo in lei come in nessun altro la capacità di proseguire e portare a termine il compito iniziato da Mario Draghi. In questo momento mi sento di affermare: après Draghi (e Mattarella) le déluge …

Ebbene forse abbiamo trovato la combinazione vincente, l’abbinata Mattarella-Draghi. Lasciamoli per un po’ di tempo al loro posto, non affidiamoci ai Dulcamara di destra ed ai Nemorino di sinistra, non facciamo battere il cuore a destra come se fosse un Meloni e non cerchiamo il freddo per il Letta.