La tragedia in tazza

Il panorama è apocalittico: milioni di morti sparsi in tutto il mondo, scene sconvolgenti provenienti soprattutto dall’India, domande inquietanti sul futuro dell’umanità. Mi pongo sempre più il problema inquietante se stiamo vivendo l’inizio della fine (Gesù: “Vi saranno carestie e terremoti in vari luoghi; ma tutto questo è solo l’inizio dei dolori… e vi saranno di luogo in luogo terremoti, carestie e pestilenze”) oppure se ci stiano arrivando segnali inequivocabili dell’assoluta necessità di cambiare tutto (Gino Bartali: “L’è tutto sbagliato…l’è tutto da rifare!”) oppure se sia iniziata una sorta di bagno purificatore per tutta la creazione (messaggi di Medjugorje).

Un caro e simpatico amico, di fronte alle drammatiche e tragiche stranezze dei comportamenti umani, si chiedeva: “Non so cosa aspetti il Padre Eterno ad intervenire per buttare tutto all’aria e semmai rifare tutto da capo”. In verità Dio, secondo la fede cristiana, in cui mi riconosco convintamente, è già intervenuto, incarnandosi e andando in croce per poi risorgere (“la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce”). Lungi da me imbastire una frettolosa ed apocalittica analisi del fenomeno pandemico in cui siamo sprofondati, intendo solo partire dalla enormità della tragedia per compararla ai nostri vacui comportamenti.

La gente tira un sospiro di sollievo, si consola con le riaperture e si distrae con una tazzina di caffè (spaghetti, pollo, insalatina e una tazzina di caffè…) finalmente bevuta al bar dell’angolo o al bar del centro, con una striminzita cena al ristorante (al freddo e al gelo…), con un precipitoso rifugio in una sala cinematografica, con la prospettiva degli apericovid, insomma con l’illusione del tutto come prima e più di prima, dimostrando di avere  poco cervello, niente cuore e un bel po’ di pelo sullo stomaco.

La politica anziché concentrarsi sui 248 miliardi in ballo, da cui dipende il futuro del nostro Paese, preferisce baloccarsi nella insulsa diatriba sul coprifuoco in tarda serata e mettersi vergognosamente alla caccia di consensi e di capri espiatori sulla pelle degli italiani. Il centro-destra è alle prese più con la propria identità che con quella del coronavirus, tutti, più o meno, si comportano come gatti che marcano il loro territorio (lasciamo perdere il come…) intendendo segnalare la propria presenza agli elettori disperati, promettendo ad essi le cose più assurde ed impossibili.

Per tutti gli attori di questa commedia/tragedia all’italiana vale la famosa barzelletta delle promesse elettorali: vi daremo questo, vi concederemo quest’altro, vi offriremo ciò che vorrete… E l’afta epizootica? chiese timidamente un agricoltore della zona interessata. Vi daremo anche quella! rispose gagliardamente il comiziante di turno. Sulla invitante torta del Recovery plan si scateneranno gli appetiti elettoralistici oltre che le voracità burocratiche. Giustamente Mario Draghi sembra fregarsene altamente andando avanti per la sua impervia strada.

Gli scienziati fanno peggio dei teologi bizantini i quali erano soliti dibattere tra di loro sul sesso degli angeli, anche quando i Turchi di Maometto stavano per espugnare Costantinopoli, nel 1453, ponendo fine all’Impero romano d’Oriente. Essi occupano mediaticamente gli spazi di discussione per dibattere a vanvera, mentre il virus sta buttando all’aria il mondo intero: sempre più mi chiedo dove e come trovino il tempo per le loro narcisistiche passerelle televisive, occupati, come dovrebbero essere, nei reparti ospedalieri o negli istituti di ricerca. Il malato è contento e sereno quando vede intorno al proprio letto diversi medici impegnati seriamente a combattere la sua malattia; è confuso, irritato e disperato quando li vede litigare e ascolta i loro inconcludenti ragionamenti.

I media in modo vergognosamente autoreferenziale cavalcano le notizie in modo indegno: è in atto un autentico sciacallaggio, la ripugnante attività volta allo sfruttamento scandalistico di informazioni allo scopo di conquistare l’audience e salvaguardare i propri spazi economici e di influenza sulla pubblica opinione. Non resisto più a questa indegna gazzarra: basta!

Cosa altro dovrà succedere per farci rinsavire? Ricordo che mio padre, con la sua solita e sarcastica verve critica, di fronte agli insistenti messaggi statistici sulla morte di un bambino per fame ad ogni nostro respiro, si chiedeva: «E mi alóra co’ dovrissja fär? Lasär lì ‘d tirär al fiè?». Lo diceva per sdrammatizzare e forse anche per mettere fine ai pietismi di maniera che non servono a nulla e vanno molto di moda. A margine del disastro covid infatti non c’è bisogno né di pietismo né di indifferenza Né di sbornia mediatica, ma di una presa di responsabilità collettiva. Tremo di fronte alla prova del fuoco inaugurata dalle riaperture: succederà la già vista e patita folle corsa allo smarcamento? Semmai, quando ci viene voglia di evadere scriteriatamente, proviamo a guardare le immagini provenienti dal mondo e teniamo presente che ad oggi sono 147.377.159 i casi di contagio confermati dall’inizio della pandemia e sono 3.112.041 i morti. Cifre da capogiro che stiamo affogando in una tazzina di caffè.