Piangere come una rai tagliata

Stando alle indiscrezioni, il governo Draghi starebbe preparando un ribaltone in casa Rai. Al dossier, secondo quanto riportato dalla Stampa, stanno lavorando Antonio Garofoli, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Antonio Funiciello, capo di gabinetto del Premier, Alessandro Rivera, direttore generale del Tesoro e uomo di fiducia di Daniele Franco, e Giancarlo Giorgetti, ministro dello Sviluppo economico.

Era ora che qualcuno si accorgesse degli assurdi andamenti di questo ingombrante carrozzone. Troppi costi, pochi introiti, scarsa audience. Prima di decidere sui nuovi amministratori è più che opportuno che il governo e il parlamento indaghino sulla situazione. Non ci vuole molto a capire che dove basterebbe un giornalista ne vengono impiegati tre, che certi programmi non hanno né capo né coda, che la qualità molto spesso lascia alquanto a desiderare, che gli introiti, spesso portati a giustificazione di spese pazze, sono in calo.

I “programma di intrattenimento”, vale a dire tutte quelle trasmissioni che non rientrano né nei programmi di informazione né in quelli di comunicazione politica, fanno venire il latte alle ginocchia. L’informazione è drogata e poco obiettiva, la politica è invadente e spesso prevaricante. In mezzo a uno sconfortante piattume, ogni tanto si alza qualche acuto, che però non è sufficiente a riscattare il livello decisamente basso della proposta Rai, che ha tutti i difetti delle emittenti private (rincorsa affannosa e penosa dell’audience a tutti i costi) senza averne i pregi (una certa qual indipendenza dai pubblici poteri).

Si nota ad occhio nudo lo sperpero di risorse umane con paradossali sovrapposizioni: si pensi ai quirinalisti (uno per ogni tg), si pensi ai giornalisti che si occupano di Parlamento (capaci soprattutto di disturbare con scolastiche rimasticature le dirette dalle aule del Senato e della Camera), si pensi alla pletora di commentatori politici interni ed esterni (si divertono ad offrire la più becera delle fiere di ovvietà), si pensi ai cronisti della politica  (flotte di ragazzotti e ragazzotte a cui viene messo in mano un microfono per pedalare), si pensi ai cronisti in genere (capaci di rincorrere le stupidaggini, lasciando perdere le cose importanti), si pensi ai conduttori ed alle conduttrici (i primi tesi a sgomitare per difendere il loro pezzetto di palinsesto, le seconde preoccupate di mostrare cosce e sfoggiare piccanti toilette).

E dare un’occhiata a stipendi e cachet potrebbe riservare interessanti riscontri etico-professionali. Mi piacerebbe tanto conoscere questi dati, perché sono più che sicuro che nascondano un vero e proprio attentato all’equità e alla serietà, una provocazione sbattuta in faccia a chi soffre e geme nelle doglie del parto di una società più giusta e democratica.

Con lo stile ed il garbo che lo contraddistinguono spero comunque che Mario Draghi abbia tempo e voglia di intervenire a gamba tesa in questo campo. Farebbe cosa buone e giusta, equa e salutare. Se non ci prova lui, chi mai ci potrà riuscire. Non è solo un problema di indipendenza dai partiti politici e dai loro interessi di bottega, è una questione culturale a tutto tondo. Non si accontenti di cambiare qualche dirigente al vertice, abbia la forza di “andare giù una mano di vanga” senza pietà nell’interesse dell’opinione pubblica e dei cittadini spettatori incolpevoli. Qualcuno parla di un vero e proprio modello Draghi per la Rai: mi piace già immaginarlo, figuriamoci se diventasse realtà.

Se pretendiamo giustamente da Mario Draghi esempi di discontinuità politico-programmatica nell’affrontare l’emergenza, a maggior ragione ci dovremmo aspettare un cambio di passo nella gestione di questo circo mediatico che si chiama Rai. Vuoi vedere che sia la volta buona per mandare a casa qualche mangiapane a tradimento e qualche saltimbanco di professione? Me lo auguro di vero cuore.