Mia sorella Lucia, nella sua implacabile schiettezza, come ho già avuto modo di scrivere, non sopportava i grilloparlanteschi atteggiamenti della gerarchia cattolica nelle sue varie espressioni centrali e periferiche, volti ad esprimere forti e generiche critiche ai politici, con cui peraltro non era affatto tenera. Rinviava però al mittente parecchi rilievi: “Sarebbe molto meglio che si guardassero loro, che ne fanno di tutti i colori, anziché scandalizzarsi delle malefatte delle persone impegnate in politica”. Punto e a capo.
A volte esagerava nei toni, ma aveva perfettamente ragione nella sostanza. Ho rispolverato, come spesso mi accade, questo suo atteggiamento critico apprendendo il nuovo, triste capitolo del caso Bose, sul quale torno a scoppio ritardato. Un decreto del delegato pontificio, padre Amedeo Cencini, ha concesso all’ex priore, fratel Enzo Bianchi, una settimana di tempo per lasciare la comunità nel Biellese e trasferirsi a Cellole di San Gimignano, provincia di Siena e diocesi di Volterra, in un’antica canonica trasformata alcuni anni fa nella sede toscana della stessa Bose. Ma, per rispettare il precedente decreto pontificio che imponeva il trasferimento all’esterno della comunità, Cellole perde qualsiasi connotazione monastica, viene ceduta in comodato a Enzo Bianchi che sarà accompagnato da tre o quattro confratelli. Continueranno a essere considerati monaci ma “extra domum”. Senonché Enzo Bianchi avrebbe rifiutato la nuova destinazione e allora…
Forse la telenovela non finirà mai, magari si troverà un finale penoso quanto prevedibile, ma rimane aperto un problema enorme nella vita della Chiesa: non è ammesso il dissenso, non è accettato il pluralismo, il dialogo non può durare che fino a mezzogiorno. Non entro nel merito della controversia, anche perché viene silenziato, ma il metodo non mi piace, anzi mi scandalizza. È possibile che in una comunità monastica si risolvano i contrasti a suon di burocratici decreti pontifici e di drastiche espulsioni? Nemmeno nel peggiore dei partiti politici si arriva a tanto. Il clima, tutto sommato, è quello di una caserma, dove si tace e si obbedisce a prescindere. “Credere, obbedire e combattere” era un motto fascista di cui non si trova traccia nel Vangelo.
“Credo la Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica”, così si dichiara durante la messa. Sulla sua natura gerarchica ci sarebbe quindi molto da discutere, ma i metodi sbrigativi sono una degenerazione dell’impostazione gerarchica stessa. Così facendo si impoverisce la comunità, privandola di certi carismi e inquadrandola in un perimetro ristretto dove alberga un pericolosissimo pensiero unico. La Chiesa è specializzata nel perdere il pelo, ma non i vizi e, tra questi, quello del punire ed emarginare chi osa dissentire o esprimere idee non perfettamente in linea con la dottrina e la prassi ufficiali.
Quando con il caro amico don Luciano Scaccaglia si combatteva qualche battaglia “trasgressiva”, mi premuravo di avvertirlo dei rischi che poteva correre a livello disciplinare: “A me, in fin dei conti, non possono dire niente, delle loro reprimende me ne faccio un baffo, ma per te è diverso, rischi provvedimenti gravi con tutto quel che ne segue”. Lui mi guardava, mi ringraziava e mi rispondeva: “Andiamo avanti!”. Il coraggio non gli mancava. Nella Chiesa bisogna fare così, ma non è giusto costringere ed irrigidire i rapporti fino a questo punto.
Sono molto dispiaciuto per don Enzo Bianchi, per la comunità di Bose e per tutta la Chiesa. Un mio amico che non accettava imposizioni, desiderava ardentemente votare in occasione della nomina del vescovo. Aveva perfettamente ragione. Invece arriva in diocesi un personaggio calato dall’alto, non si capisce mai in base a quali criteri sia stato scelto, accolto dal clero con la stessa preoccupazione con cui gli impiegati attendono l’arrivo di un direttore, visto spesso come un unidentified flying person.
Nel movimento cinque stelle è stata introdotta l’espressione on line del voto sulla cosiddetta piattaforma Rousseau da parte degli iscritti, sulle scelte fondamentali da adottare (pare che le cose stiano cambiando…): una forma di partecipazione democratica più formale che sostanziale, una sorta di mini-plebiscito preventivo sull’operato dei dirigenti, una parodia democratica a livello di suffragio assai poco universale. Meglio di niente, si dirà. Sì, infatti, e se provassimo ad adottare una simile procedura all’interno della Chiesa? La gerarchia cattolica è sicuramente critica verso il M5S, le sue sparate ed i suoi metodi. Ebbene, si guardassero in casa loro, come diceva mia sorella, e provassero a fare una piccola flebo di democrazia andando magari a lezione da Beppe Grillo e Davide Casaleggio (accontentiamoci…). Tentare non nuoce, magari con una piattaforma “Spaemann”. Chi era? L’ultimo grande filosofo cattolico. Forse si scaravolterà nella tomba.