Aspettando il vaccino-godot

Piove il virus, governo ladro! Era questo il ritornello prevalente da quando è scoppiata la pandemia. Più volte ho tentato di passare in rassegna i diversi fattori incidenti sul fenomeno alla ricerca di responsabilità e soprattutto di speranze a cui attaccarmi.

Una mia carissima amica, fin dall’inizio, ha teorizzato che l’unico antidoto decisivo potesse essere il vaccino: tutto il resto non poteva che essere una spasmodica e fiduciosa attesa dell’arrivo in pompa magna della scienza, che ci avrebbe finalmente liberato dall’incubo. Non potevo darle tutti i torti, anche se il mio innato pessimismo mi portava a dubitare che una “punturina” sul braccio potesse cambiare il mondo facendolo tornare alla normalità.

Mi chiedevo: quanto tempo ci vorrà? una volta scoperto e sperimentato, funzionerà davvero? avrà, come tutti i farmaci, delle controindicazioni? chi lo produrrà? interverranno speculazioni affaristiche? sarà opportuno renderlo obbligatorio? saremo capaci di somministrarlo in tempi stretti e in modo equo e razionale? Dubbi atroci ai quali la mia interlocutrice ribatteva: la scienza fa miracoli, attacchiamoci ad essa, tutto il resto è fuffa!

Aveva ragione, ma aveva torto. Colpiva nel segno in riferimento alla fuffa: la politica incapace di governare un’emergenza ingovernabile; i media capaci di trasformare un dramma incalcolabile in una spettacolare, sadica e masochistica contabilità; la gente capace di stupirsi, ma sostanzialmente incapace di reagire o meglio capace di agire secondo il noto criterio “io, speriamo che me la cavo”.

Si sbagliava riguardo alla scienza: affaccendata in diatribe personalistiche, in dibattiti fumosi, nel lancio a ripetizione di messaggi confusi e fuorvianti, nella gara a chi la spara più grossa, nella dimostrazione di avere la verità in tasca, nella logorroica sarabanda di pareri e consigli inutili. La politica sbagliava ad affidarsi ciecamente agli scienziati, la gente sbagliava a riporre in essi la fiducia assoluta. Tuttora viene spontaneo domandarsi come facciano certi virologi, epidemiologi (ci siamo capiti…)  ad eseguire i loro studi e le loro ricerche, impegnati come sono a passare da uno studio televisivo all’altro per sputare improbabili e camaleontiche sentenze.

E adesso? Ci sono i vaccini, per la verità ce ne sono di tanti tipi e vai a capire quale possa essere il migliore. Ce ne sono pochi, perché le case farmaceutiche stanno giocando a nascondino per lucrare sulle loro rendite di posizione. Non abbiamo una rete distributiva affidabile ed efficiente: ogni regione è partita in quarta e sta combinando il suo casino e purtroppo la sommatoria di casini non fa ordine.

Sul più bello, proprio mentre sembrava che prendesse corpo un piano nazionale tale da mettere un po’ di ordine, spuntano episodi inquietanti che sembrano fatti apposta per buttare benzina sul fuoco dei dubbi e delle perplessità dei vaccinandi, che si aggiungono peraltro a quelli di quote significative di addetti ai lavori (saranno tutti disfattisti, allarmisti e menagramo?). Qualche morte assai sospetta, controindicazioni molto preoccupanti col seguito di inchieste giudiziarie ed approfondimenti scientifici: un modo per giustificare una falsa partenza ed ipotizzare una ripartenza riveduta e corretta. Capisco il panico conseguente e dilagante.

Magari sarà tutta una questione di una partita avariata: generalmente finiscono così le inchieste su ben altri beni di consumo, tese più a salvare capra e cavoli che ad appurare la verità. Magari si tratta di episodi, che, pur nella loro marginale drammaticità, non possono fare testo. Quando mio padre commentava la morte di una persona, di cui non si riusciva a trovare (o non si voleva trovare) la causa, concludeva sarcasticamente: «As védda che quälcdòn al gà preghè un cólp…». Campa cavallo…che la scienza cresce…e la paura ci blocca. Morale della favola: noi cerchiamo disperatamente qualcosa di assolutamente certo, mentre la pandemia ci insegna ad ogni piè sospinto che di tutto ciò non esiste nulla o meglio, se ci rattrista la certezza di dover morire, ben venga la scienza (mancherebbe altro…), ma l’unica cosa che può consolarci è la speranza dell’immortalità futura.