Quattro episodi inquietanti, che la dicono lunga sul clima a dir poco confuso, regnante in materia di Covid. Li riporto letteralmente, prendendoli dal sito internet de La Repubblica, non per creare zizzania, ma per dimostrare che ci vogliono i nervi saldi per vivere seriamente in questo periodo. Troppe parole in libertà, troppi comportamenti faciloni, troppe basse insinuazioni, troppe contraddizioni, in una parola sola, troppo casino.
Lavoravo da circa due mesi ed ebbi l’occasione di incontrare un utente dei servizi erogati dall’organizzazione (non ne faccio il nome per ovvi motivi di riservatezza e correttezza) in cui prestavo la mia opera professionale: persona calma, piuttosto distinta, abbastanza simpatica. Scambiammo qualche impressione e, alla fine del breve colloquio, mi fulminò con una lapidaria battuta: «Sa cosa le devo dire dottore, concluse amaramente, che quell’organizzazione lì è un gran casino». Allargai le braccia, balbettai qualche scusa, promisi di fare del mio meglio per migliorare la situazione. Dovessi oggi, per caso, andare a colloquio con Mario Draghi, gli ripeterei pedissequamente le parole spicce di quel mio lontano interlocutore. Mi augurerei che avesse qualche risposta più convincente di quelle da me vergognosamente sciorinate nel caso di cui sopra.
- La dietrologia?
Secondo il direttore dell’istituto Spallanzani, c’è chi si starebbe adoperando affinché la piaga del Covid non si rimargini. Ma si allarghi sempre più. “Non inseguiamo le varianti, studiamole; non assecondiamo chi auspica e lavora perché non abbia mai fine”. Poche e pesanti parole quelle scritte in un post su Facebook da Francesco Vaia, direttore sanitario dell’istituto Spallanzani di Roma, tali da lasciar sospettare che il manager accusasse qualcuno, a livello nazionale e non solo, di operare affinché l’emergenza coronavirus prosegua anziché impegnarsi per far sì che si possa uscire il prima possibile dalla pandemia. Abbastanza per scatenare un terremoto.
Vaia ha inizialmente scelto di mantenere il silenzio richiesto ai medici in giornate così delicate. Poi, però, visti i troppi e inquietanti interrogativi sollevati da quel post ha accettato di chiarire, specificando che non pensa minimamente a oscuri personaggi che di notte diffondono il virus, a qualcuno che briga per impedire a tutti di uscire dal tunnel, ma ha voluto, seppure in maniera forte, semplicemente indicare quella che è a suo avviso la strada da seguire con urgenza, considerando anche le tante preoccupazioni suscitate dalle varianti.
“Varianti – precisa il direttore sanitario dello Spallanzani – ci saranno sempre, il virus cerca di adattarsi alle diverse condizioni, ma adesso c’è una corsa contro il tempo, una partita a scacchi tra noi e il virus, e la mossa del cavallo è solo una: vaccinare, vaccinare, vaccinare”. Per Vaia è fondamentale infatti abbattere in fretta la mortalità e tutelare i più fragili. E per farlo ritiene che si debba arrivare il prima possibile a una vaccinazione di massa.
La linea in pratica seguita da Israele. Per riuscirci, secondo il manager, diventa quindi fondamentale superare sui vaccini sia la logica di brevetto che quella geopolitica, facendo rispettare da un lato in sede europea i patti sottoscritti e dall’altro consentendo alle aziende italiane e laziali, dove c’è il più importante distretto farmaceutico d’Italia, di produrre i vaccini, imprimendo contestualmente un’accelerata da parte delle autorità regolatorie alle autorizzazioni: “Le regole vanno rispettate ma non è tempo di burocratismi”.
Se vi sono altri vaccini efficaci bene dunque utilizzarli. Tutto senza un lockdown come quello del marzo scorso e senza una chiusura generalizzata delle scuole di cui si discute con sempre maggiore frequenza. Vaia non ha dubbi: “Le stesse varianti si manifestano per focolai e quel che occorre sono i lockdown chirurgici”. “Il mio – assicura il manager tornando a quanto scritto nel post – è un invito a fare in modo che chi ha di più dia una mano. A vaccinare e vaccinare in modo che le varianti non producano gli effetti più dannosi”.
- I vaccini inquinati?
AstraZeneca, casi di trombosi: sospeso un lotto di vaccini in Danimarca. Stop di un altro lotto anche in Italia. Due eventi simili in Austria. Anche Vienna, con Estonia, Lituania, Lettonia e Lussemburgo, aveva deciso per precauzione di interrompere le somministrazioni. L’Ema aveva escluso la correlazione con la somministrazione del prodotto, ma avviate indagini. Vagliata l’ipotesi di impurità nelle fiale. Due casi sospetti anche in Sicilia.
- Le morti sospette?
Militare morto dopo il vaccino: almeno dieci indagati, l’Aifa sospende il lotto di dosi. Sul decesso la procura di Siracusa ha aperto un’inchiesta. Domani l’autopsia. Sono una decina gli indagati dalla procura di Siracusa che dovrà accertare eventuali criticità sulla corretta conservazione e sull’utilizzo della dose di vaccino somministrata lunedì mattina al sottufficiale della Marina Stefano Paternò, morto per arresto cardiocircolatorio tra le mani dei medici rianimatori del 118 ventiquattr’ore dopo avere ricevuto l’immunizzazione. Per tutti l’accusa è omicidio colposo. Sul caso si muove anche il ministero della Salute che invierà i suoi ispettori. Visiteranno l’Asp di Siracusa, il reparto medico della base militare della Marina nel quale è stato somministrato il vaccino e sentiranno i medici del 118 che per 45 minuti sono intervenuti la notte tra lunedì e martedì nel momento in cui Stefano Paternò con la febbre alta ha iniziato ad avere le convulsioni, prima del decesso per arresto cardiocircolatorio.
In seguito alla morte di Paternò e a quella avvenuta in precedenza di un poliziotto, l’Aifa, Autorità italiana del farmaco, ha sospeso il lotto con cui i due uomini erano stati vaccinati. Bisognerà fare luce sulla conservazione delle dosi del vaccino nella sede Asp di Siracusa, sino alle fasi dell’inoculazione nella base militare di Augusta. Per tutto questo sarà indispensabile l’esito dell’autopsia che verrà effettuata domani pomeriggio nell’obitorio dell’ospedale Cannizzaro di Catania da un’equipe composta da un medico legale, un infettivologo, un tossicologo e uno specialista che dovrà studiare l’anamnesi di Stefano Paternò.
- I soliti raccomandati?
Coronavirus: “Lo Spallanzani favorisce i parlamentari”. Il dottor Codacci Pisanelli dell’Umberto I accusa l’istituto romano e la sua politica dei ricoveri: “Un mio paziente, gravissimo, ha dovuto attendere due mesi, mentre leggo di onorevoli parlamentari ricoverati direttamente dal proprio domicilio”. La replica: “Nostro compito è togliere dai Pronti soccorsi i pazienti che vanno trattati qui, non quelli che sono già in cura presso altri ospedali come l’Umberto l”.
“È poco trasparente la gestione dei ricoveri nell’ospedale Lazzaro Spallanzani, eccellenza mondiale per la cura delle malattie infettive: ci sono voluti due mesi per far trasferire lì, dall’Umberto l, un paziente colpito dal coronavirus e affetto da altre patologie gravi, mentre si legge di onorevoli parlamentari, ai quali auguro una pronta guarigione, che allo Spallanzani arrivano direttamente dalle loro dimore”. La replica dello Spallanzani è affidata dalla direzione dell’istituto al “bed manager”, Emanuele Nicastri, primario della divisione Alta intensità di cura: “Nostro compito è togliere dai Pronti soccorsi i pazienti che vanno trattati qui, non quelli che sono già in cura presso altri ospedali come l’Umberto l che, al pari del nostro, sono dotati di reparti di Malattie infettive”.
“Dai primi del novembre scorso – racconta Codacci Pisanelli – ho seguito un paziente affetto da linfoma non Hodgkin, positivo al Covid 19”. “In dicembre è stato ricoverato d’urgenza presso l’Umberto l per una polmonite bilaterale grave, documentata da ripetute Tac, da una severa ipossia (carenza di ossigeno; ndr) che ha costretto i medici a ricorrere all’ossigeno”. “Ricoverato in un reparto Covid, il paziente ha contratto anche una pericolosa infezione ospedaliera”. “Considerata la gravità delle sue condizioni cliniche – continua Codacci Pisanelli – ho contattato i colleghi dello Spallanzani che, sempre cordialissimi, mi hanno spiegato che il paziente andava curato presso l’Umberto l; non ritenevano, insomma, giustificabile un trasferimento allo Spallanzani”. “Il policlinico universitario – risponde Nicastri – ha competenze e ruolo istituzionale per trattare casi come quello in questione, perciò, ritenendola irrituale, non abbiamo accolto subito la richiesta del trasferimento”.