In una società a regime teocratico musulmano Fiorello si sarebbe beccato una sacrosanta fatwa dopo la sua penosa esibizione al festival di Sanremo con tanto di corona di spine sul capo. Ho avuto la fortuna di non vedere questa esibizione, anche se, navigando in internet a puro titolo informativo, ci sono incespicato contro.
Non mi sono scandalizzato e non ho nemmeno cercato di capire la motivazione di una simile equivoca provocazione: ad ogni giornata televisiva basta la sua pena. Non è il caso di approfondire, perché, da una parte, si rischia di portare acqua al mulino degli improvvisati e strumentali “defensor fidei”, dall’altra, si può finire con l’accettare la dissacrazione fine a se stessa spacciata per operazione culturale. Meglio tacere…
Non so se sia più blasfemo l’iceberg del festival di Sanremo in quanto tale o queste sue eclatanti punte. Propendo per la prima ipotesi: la botte dà il vino che ha.
Riprendo per l’ennesima volta un ardito concetto. Molti anni fa monsignor Antonio Riboldi, vescovo di Acerra, durante una conferenza all’aula magna dell’Università di Parma, raccontò di avere scandalizzato le suore della sua diocesi esprimendo loro una preferenza verso la stampa pornografica rispetto a certe proposte televisive perbeniste nella forma e subdolamente “sporche” nella sostanza. In fin dei conti la pornografia pura si sa cos’è e la si prende per quello che è, mentre è molto più pericoloso, dal punto di vista educativo, il messaggio nascosto che colpisce quando non te l’aspetti.
Sono perfettamente d’accordo: della serie “se lo conosci lo eviti, se non lo conosci ti uccide!”. Non so dove inquadrare il festival di Sanremo. Sarei portato a considerarlo una pericolosa, subdola, fuorviante e ricorrente proposta televisiva, da schivare come le pozzanghere. Forse però, strada facendo, si sta rivelando in tutta la sua crassa ridondanza da avanspettacolo e quindi, tutto sommato, la malattia si sta sfogando ed esce dalla cronicità. Meglio così? Penso proprio di sì!
Cosa direbbe Gesù di fronte a questa insulsa gag ammiccante alla sua incoronazione di spine. Azzardo qualche pronostico. A chi piange sul latte versato di una società fasulla potrebbe girare la frase rivolta alle pie donne di Gerusalemme che piangevano lungo la via del Calvario: “Non piangete su di me, ma piangete su voi stessi e sui vostri figli”. A chi intende ridicolizzare o relativizzare la Croce relegandola a mera consolazione degli afflitti non presterebbe la minima attenzione come a quelli che lo invitavano a scendere dal patibolo per rivelare la sua divinità. Davanti a tutti i protagonisti del festival di Sanremo, quali rappresentanti del nulla culturale vigente, rifarebbe la paradossale preghiera: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”.
Alla fine della kermesse festivaliera ci sarà pure un qualsiasi inserviente del teatro Ariston, che oserà dire: “Questo spettacolo è una vera cazzata!”. Ma la storia di questo mondo non ne terrà conto e preferirà registrare come cose comicamente serie quelle propinate da Lauro De Marinis, in arte (?) Achille Lauro, e Rosario Tindaro Fiorello, conosciuto semplicemente come Fiorello. Anche perché i pilateschi dirigenti Rai se ne laveranno sempre le mani.