Le lumache alla Sansone

Se finora il comportamento delle forze politiche era piuttosto irritante nella sua inconcludenza, con il varo dell’incarico di formare un governo di alto profilo a prescindere dalle formule politiche, l’atteggiamento dei partiti si è fatto insopportabile. Dopo il flop trattativista tutti si sono resi conto improvvisamente di essere messi in discussione e stanno cercando disperatamente di difendere a denti stretti non tanto il ruolo, che rimane scritto in Costituzione, ma il prestigio e la fiducia, che invece stanno clamorosamente scemando. Ogni partito o movimento si abbarbica alla pianta della propria storia recente pur di non mettersi in discussione.

Il movimento cinque stelle, già da tempo in crisi di consenso elettorale e di leadership gestionale, resta ancorato al suo populismo e quindi fa lo schizzinoso verso Mario Draghi, ritenendolo, a torto, un arnese delle élite dominanti, un uomo dei poteri forti, tentando di ritrovare così l’unità interna da tempo perduta tramite l’individuazione di un nemico comune (prima Renzi, adesso Draghi). Beppe Grillo, in gravissima difficoltà, dice e disdice: temo stia perdendo totalmente il senso della politica e persino quello dell’antipolitica.

La sinistra di Leu balbetta di fronte alle necessità di contribuire ad un governo, che potrebbe spiazzarne gli intenti demagogici sempre presenti in questa area politica. Il Partito democratico si trova a dover fare scelte precise dopo aver trascorso un lungo periodo di opportunistico e illusionistico “tirare a campare”: la fusione fredda da cui è nato evidenzia ancor più grosse crepe e poca voglia di ricominciare da capo un processo teoricamente valido.

Italia viva ha fatto come Pietro Micca, facendosi saltare insieme a governo ed alleati per una paradossale e incomprensibile causa: ora porta a casa il governo Draghi, ascrivendoselo farsescamente come merito. Renzi ha fatto il dispetto alla moglie, si è tagliato i coglioni e si consola con la virilità di chi arriva dopo a letto dissodato.

Il fantomatico centro-democratico rimane l’oggetto misterioso alla ricerca dell’autore (potrà essere Renzi?): una forte e credibile politica governativa non può che togliergli spazi esistenziali e vitali. Il centro-destra, che riesce a tenere unita la baracca con la colla elettorale, è obiettivamente diviso in tre: i berlusconiani muoiono da tempo dalla voglia di smarcarsi e di essere importanti negli equilibri, uscendo dallo schiacciamento sugli alleati; i leghisti, divisi fra l’ala populista (Salvini) e l’ala pragmatica (Giorgetti, Zaia), temono di perdere peso e leadership all’interno della coalizione; i Fratelli d’Italia intendono passare il più in fretta possibile alla cassa nel timore di perdere l’attimo fuggente (probabilmente già perso).

Molti sotto sotto temono le elezioni, facendo finta di puntarle, anche se sanno bene, che per loro sarebbero un disastro, ancor più probabile qualora arrivassero dopo la lucida analisi delle controindicazioni fatta da Mattarella e dopo il procurato aborto del tentativo di Draghi. Alcuni, sfoderando un becco di ferro notevole, ipotizzano o addirittura pretendono un coinvolgimento di esponenti politici nella compagine ministeriale draghiana. Le stanno tentando proprio tutte. Parecchi hanno buttato offese, calunnie e fango su Draghi e la sua azione a servizio dell’Italia e dell’Europa. Ho la sensazione che i partiti si muovano tra la sindrome di Sansone e quella della lumaca: si difendono a costo di perire tutti sotto le macerie e reagiscono stizziti a chi osa dimostrare che sono nudi.

O i partiti riescono a trovare in questo stretto passaggio politico le residuali risorse per una sana autocritica o rischiano di indebolirsi ulteriormente, mettendo a repentaglio il sistema democratico. La provocazione del duo Mattarella-Draghi è molto opportuna, forte e imbarazzante, i cittadini stanno aprendo gli occhi, la distanza dalle Istituzioni può aumentare rovinosamente, nessuno potrebbe essere in grado di interpretare il disgusto proveniente dalla società. Sarà una strada lunga e in salita: speriamo che da una parte dia frutti governativi importanti e decisivi e che dall’altra costringa la politica ad auto-emendarsi in modo profondo e positivo.