Le trombe contiane e le campane renziane

C’è differenza fra la maniacale “conferenzite” di Giuseppe Conte e la spasmodica ansia protagonistica di Matteo Renzi? Forse sono le facce della stessa medaglia mediatica che turba la vita politica italiana. Se Conte infatti esagera con le passerelle post DPCM, Renzi perde letteralmente la testa pur di tornare e stare alla ribalta. Se Conte è un “ribaltonista”, Renzi è un “ribaltista”. Se Conte è un opportunista, Renzi è uno “staiserenista”.

Sono i risultati dell’esame della situazione politica fatta al microscopio, dopo aver tentato nei giorni scorsi quella con il cannocchiale. Matteo Renzi ha fatto una impietosa analisi comportamentale di Giuseppe Conte. E fin qui niente di male, anche se un po’ più di magnanimità non avrebbe certo guastato. Tutto normale fin quando l’implacabilità dell’esame non scade nella slealtà e nella faziosità. In quel caso tutto rischia di prendere una brutta piega.

Ho ascoltato in diretta l’intervento di Renzi al Senato durante il dibattito parlamentare sulla fiducia al governo Conte: ha giudicato il premier osservandolo di sopra, di sotto, da una parte e dall’altra. È partito dalle quattro crisi che sta vivendo il Paese: quella pandemica (il numero dei morti), quella economica (il calo del pil), quella sanitaria (un sistema carente), quella dell’istruzione (una scuola a rotoli più che a rotelle).

Non ci voleva la smisurata verve polemica di Renzi per cogliere questi punti deboli e quindi non si può non essere d’accordo. Di qui a colpevolizzare a trecentosessanta gradi il governo Conte ci passa una bella differenza: la gente non muore di Covid per colpa del governo o quanto meno non solo e non tanto per colpa del governo; che poi l’Italia abbia il triste primato per le vittime da coronavirus sarebbe tutto da dimostrare. Si tratta di una semplificazione strumentale inaccettabile. Se il pil cala con tutte le conseguenze del caso, non è responsabilità primaria e assoluta di questo governo; che poi il nostro Paese sia quello messo peggio non è detto e soprattutto bisognerebbe considerare com’era messo prima della pandemia. Che la sanità sia messa male è cosa nota, ma le ragioni risalgono alla notte dei tempi di una politica dissennata di tagli, di inefficienze, di opzioni a favore del privato, di interventi inadeguati e contraddittori delle regioni (in)competenti per materia. Che la scuola soffra è altrettanto indiscutibile, ma anche per questo settore le colpe vanno ricercate e riscontrate molto più indietro rispetto alle pur insulse misure sulla “rotellizzazione” dei banchi. Renzi ha, più o meno, tenuto fede e interpretato con abilità oratoria il famoso detto “piove, governo ladro”.

Veniamo al punto di osservazione politico. Renzi ha ripreso più con masochismo che con sadismo i difetti e le incoerenze di Giuseppe Conte e del partito da cui proviene (il M5S): da filo-leghista ad anti-sovranista; da euroscettico a “euroconvintissimo”; da avvocato del popolo a difensore dei deboli; da amicone di Trump ad ammiratore di Biden; da arrendevole salvinista ad implacabile censore dell’ex alleato. Un uomo cioè buono per tutte le stagioni, un perfetto camaleonte. Senonchè questo ritratto era già perfettamente chiaro e limpido nell’estate del 2019, quando Matteo Renzi fu l’ideatore spregiudicato dell’accordo giallo-rosso. Conte era Conte anche due anni or sono e allora i casi sono due: o ci fu qualche distrazione di troppo all’inizio o c’è qualche attenzione di troppo oggi. Se Conte è un voltagabbana, lo era ex tunc e non lo è ex nunc.

Passiamo al piano programmatico: si imputa a Conte di non aver tenuto fede al libro dei sogni. Sì, perché tutto si sarebbe dovuto fare da parte del governo attuale e niente è stato fatto. Non si può sottoporre ad esame il governo Conte su tutto lo scibile ed il fattibile umano. Non si salverebbe nessuno da un simile approccio esaminatore. Cerchiamo di essere seri e ragioniamo!

Termino la rivisitazione dell’excursus renziano col discorso del metodo: Conte sarebbe stato sordo alle reiterate richieste di Italia viva, se ne sarebbe altamente fregato, proseguendo imperterrito nel suo piccolo cabotaggio. Può darsi, ma il governo era ed è un governo di coalizione, vocato per natura alla ricerca del compromesso, esposto per forza di cose alle diatribe interne, costretto alla ricerca di difficili sintesi sui diversi problemi, rassegnato ad una certa qual conflittualità interna che dovrebbe rimanere nel solco di un dialogo serrato senza svicolare nello scontro ricattatorio. Renzi ha fatto tutto il necessario per condizionare positivamente il governo oppure ha aspettato il cadavere mettendosi sulla sponda del fiume?  Se i politici imparassero a dialogare ci risparmierebbero certe menate assurde. Aldo Moro aveva nel dialogo un suo punto irrinunciabile: dialogava da democristiano col partito comunista, dialogava da professore con gli studenti, dialogava da prigioniero con i suoi carcerieri. Ha pagato a carissimo prezzo questa sua opzione, che rimane valida a tutti i livelli ed in tutti i sensi.

In conclusione mi sento di affermare: Renzi ha ragione, ma ha torto. Succede a chi mette in campo in modo sbagliato le proprie ragioni. Gran parte delle critiche rivolte a Conte sono condivisibili: non sono mai stato e non sono un contiano di ferro. Riconosco a Matteo Renzi molte qualità, ma temo che i difetti, strada facendo, gli stiano irrimediabilmente prendendo la mano. Temo che sottoponendo Giuseppe Conte a questo esagerato e sconclusionato processo critico, si finirà col rafforzarlo in tutto e per tutto, mentre invece sarebbe necessario cantargliele in musica, ma senza stonare come le campane renziane stanno facendo.