Il pericoloso rischio dell’inferno qualunquistico

Parecchio tempo fa, durante un periodo di scandali dilaganti, incontrai un amico che mi pose una domanda provocatoriamente culturale e programmaticamente politica: “Sono più qualunquisti i cittadini schifati e disamorati del clima devastante della corruzione o i politici che si lasciano corrompere?”. La domanda era piuttosto retorica e non esigeva risposte, ma voleva indurre alla riflessione.

Finora ero molto severo nei confronti degli atteggiamenti qualunquistici o, per meglio dire, verso gli atteggiamenti di ostentato disinteresse alle vicende politiche ed alle questioni di interesse generale. La mia forma mentale, la mia educazione, la mia esperienza mi hanno sempre portato all’impegno testardo e aprioristico ed al rifiuto dello sbrigativo ripiegamento nel privato. Mi trovo attualmente a soffrire per resistere alla tentazione di ripiegare su una  deriva che mi preoccupa molto seriamente.

Sono due i filoni imbastiti dal dibattito mediatico, due i piatti forti serviti dalla mensa culturale: la lotta al coronavirus e l’assetto politico-governativo. Per certi versi sono argomenti che si intersecano e si condizionano a vicenda. Ebbene per entrambi sto vivendo una specie di rigetto anche se sono alla ricerca dei motivi che mi spingono a questo riflusso.

Da una parte c’è la irrimediabile confusione regnante in materia di Covid: la vaccinazione sta creando più problemi di quanti ne risolva, l’arlecchinata delle zone più o meno calde è al limite della follia, gli indirizzi comportamentali sono contradditori e inattendibili, la rabbia cresce, la rassegnazione incombe. Vadano tutti a farsi fottere: se devo morire, voglio almeno morire in pace, quando sarà il momento. Di più non oso sperare.

Dall’altra parte c’è il balletto pornografico della politica che si spoglia integralmente delle sue residue capacità di governo per mostrare i suoi miserevoli attributi polemici e conflittuali. Vadano tutti a farsi fottere: la politica, in cui credevo e credo, se la sta divorando il coronavirus e io rischio di fare il guardone.

Sono più qualunquista io che reagisco sdegnato a questa situazione o sono più qualunquisti coloro che mi ci trascinano dentro senza ritegno e senza pudore. Mi sforzo di pensare positivo, ma non ci riesco. Chi ha il coraggio e la pazienza di seguire la mia rubrica sui fatti del giorno si sarà accorto che sto ripiegando sui massimi sistemi a prescindere dalle bagatelle quotidiane. Non mi era mai capitato di seguire con tanto distacco una crisi di governo: ebbene ci sono arrivato e questa crisi del governo Conte faccio fatica a interpretarla. La vivo, o meglio la subisco, come una recita parrocchiale (con tutto il rispetto per le parrocchie) di una tragedia shakespeariana. Ce la stiamo facendo! A fare cosa? A diventare tutti più “stupidi”.

Don Andrea Gallo diceva: «Non mi curo di certe sottigliezze dogmatiche perché mi importa solo una cosa: che Dio sia antifascista!». Chiedo scusa a don Gallo per la parafrasi che tento sulle sue parole: “Faccio fatica a seguire la politica. Devo accontentarmi di una cosa importante: che la destra nazionalista, populista, sovranista, in Italia, in Europa, negli Usa e nel mondo stia mettendo le pive nel sacco”.

Persino la mia ed altrui salute passano in secondo piano, tanta è la confusione regnante nella mia mente. Non ci capisco più niente. Mi sottoporrò al vaccino? Non lo so! Qualcuno deciderà e io mi adeguerò. Se negazionismo vuol dire prendere atto della inconsistenza del discorso a monte e a valle del virus, mi vanto di essere negazionista. Non sono ancora pazzo al punto da non credere al virus, ma ho la minima lucidità per capire che stiamo brancolando nel buio e giocando a mosca cieca col virus.

Papa Francesco sostiene giustamente che dalla pandemia si può uscire migliorati o peggiorati. Io non mi sento né migliore né peggiore di prima. Capisco che sta cambiando un po’ tutto, ma non riesco a trovare il bandolo della matassa. Intorno a me tutti la stanno ingarbugliando sempre più: vedo una deriva etica, scientifica e politica. Sono collocato in quel luogo dell’inferno ove la luce è muta ed il vento sibila, come muggisce il mare in tempesta, perché le onde burrascose sono in perenne agitazione. Sono assieme a Paolo e Francesca e temo che Dante Alighieri, dopo 700 anni, davanti a questa scena, possa cadere come corpo morto cade.