La ripartenza di Berlusconi e il catenaccio dei forzisti

Da tempo Silvio Berlusconi gioca a fare il liberale, alla ricerca di un ruolo europeisticamente distinto e affaristicamente connotato. Un tempo il paradossale ragionamento alla base del consenso che riusciva a raccogliere era: se è così bravo a fare i suoi interessi, saprà fare anche quelli degli italiani. Oggi il consenso si è sciolto nel vomitevole calderone del centro-destra trumpiano e allora lui tenta un altro tipo di ragionamento: i miei interessi valgono bene una opportunistica messa liberal-europeista.

Ha cambiato predica, non gli è politicamente rimasto che un pulpito traballante da cui pontifica, preparando una sorta di preventivo panegirico a suggello di una avventura a dir poco discutibile. Nella sua partita politica è sotto di parecchi gol, ma vuole sfruttare gli spazi per impostare una ripartenza che gli salvi la faccia e soprattutto il portafoglio. Ho la netta impressione però che questa tattica l’abbia escogitata in isolamento o, al massimo, con pochi ma carissimi amici: sta tentando di riaprire la gara, mentre le sue truppe cammellate di risulta non ci capiscono niente e finiscono regolarmente in fuori gioco.

Lui vuole smarcarsi dall’abbraccio mortale salviniano e meloniano, la maggior parte dei suoi amici rimane invece attaccata al treno destrorso con dichiarazioni di circostanza o con sparate populistiche senza popolo. Un teatrino in cui il burattinaio sa quel che vuole, ma non ha i burattini o almeno così sembra. Proprio nel momento in cui gli si apre un’autostrada per tornare in pista, non ha il mezzo di trasporto adatto: non dico una lussuosa automobile, ma nemmeno un monopattino. Ha il pane e non ha più i denti o, se volete, ha ancora qualche dente ma il pane è piuttosto difficile da addentare.

Mi sta diventando simpatico: un ricco e spregiudicato vecchietto, che, forse, si è stancato del bunga-bunga e intende dedicarsi allo scopone scientifico (ogni allusione sessuale è puramente casuale, sarebbe meglio dire causale). Evidentemente ha pochissima stima nell’entourage che gli è rimasto attaccato, non riesce a controllarlo a dovere o addirittura se ne frega altamente, contando, alla fine di Conte, sul proprio ascendente. Nessuno ha provveduto ad informare i forzisti che la guerra è finita, o quanto meno è cambiato il nemico, e loro continuano imperterriti a combattere.

Il personaggio emblematico di questa dicotomia fra il piccolo esercito e il grande capo è Maria Stella Gelmini.  “Conte venga in Parlamento e dica la verità agli italiani. Cosa succede adesso? Siamo l’unico Paese ad affrontare nello stesso momento una crisi sanitaria, una crisi economica e pure una crisi di governo. L’Italia non ha più tempo”. “Forza Italia non parteciperà a maggioranze eterogenee con il M5S che ha la sua bandiera nel reddito di cittadinanza e non nelle politiche liberali”. Nessuno le ha detto che Berlusconi si sta preparando ad entrare, di riffa o di raffa, in una maggioranza dove ci sono i grillini, i quali sembrano disposti a ingoiare il rospo? Nessuno l’ha invitata a dimenticare il periodo in cui i pentastellati dovevano andare a pulire i cessi di mediaset, mentre adesso rischia di andare lei a pulire le stanze di palazzo Grazioli con tanto di grembiulino nero?

Da piccolo mi mettevano in piedi sulla tavola per farmi recitare la poesia di Natale, che avevo imparato all’asilo. Era un rito a cui ero abituato ed a cui mi dedicavo con una certa diligenza e disponibilità.  Venne il giorno in cui partecipai al pranzo di nozze di una mia carissima cugina. Al termine mi prelevarono e mi collocarono sulla tavola in mezzo agli sposi per la fotografia di rito. Non mi feci pregare, partii con la recita della poesia di Natale che c’entrava come i cavoli a merenda, ma che mi fece conquistare un grosso successo di pubblico. Maria Stella Gelmini e i suoi colleghi rischiano di continuare a recitare la parte dei fegatosi antagonisti in una commedia in cui è loro riservata quella di responsabili consociati. Figuratevi i buu! di disapprovazione.