Stupisce che il filosofo Massimo Cacciari abbia un debole per Maria, la madre di Gesù. Questa strana ma stupenda attenzione cacciariana prese in contropiede anche Corrado Augias, il quale ne chiese conto all’interessato durante una trasmissione televisiva in cui veniva appunto presentato il libro di Cacciari “Generare Dio”.
Questo libro prende in considerazione la figura della Vergine col suo bambino, che ha svolto un ruolo straordinario nella civiltà europea. Attraverso questa immagine, che assume forme diversissime, che è chiamata e invocata con nomi anche contrastanti, questa civiltà non ha pensato soltanto il proprio rapporto col divino, la relazione di Dio con la storia umana, ma l’essenza stessa di Dio. Perché Dio è generato da una donna? Pensare quella Donna costituisce una via necessaria per cogliere quell’essenza. E le grandi icone di quella Donna, come la Madonna Poldi Pezzoli del Mantegna, non sono illustrazioni di idee già in sé definite, bensì tracce del nostro procedere verso il problema che la sua presenza incarna.
Ho scopiazzato una breve sintesi del contenuto di questo libro, ma non è di questo che intendo occuparmi in questa sede. Torno infatti al dialogo fra Augias e Cacciari: il primo fingeva di stupirsi, il secondo rincarava la dose affermando di preferire occuparsi di Maria piuttosto che degli squallidi personaggi che si aggirano sulla scena politica attuale. Ben detto, anche se poi Cacciari finisce col farsi spesso e volentieri trascinare nel dibattito: lo fa con stizzito atteggiamento critico, ma comunque cade nel tranello. Augias infatti si permise di consigliarli di lasciare perdere i discorsi di basso profilo seppur velleitariamente affrontati con piglio contestatore per dedicarsi a questioni di ben altra e più alta consistenza culturale ed esistenziale.
Non voglio fare il verso a Cacciari, non sono degno neppure di sciogliere il legaccio dei suoi sandali; non ho la presunzione di cogliere l’invito di Augias, peraltro condivisibile e utile a tutti; tuttavia in questi giorni di bagarre politica messa in scena da penosi nani e squallide ballerine, mi è venuto spontaneo (sarebbe meglio dire “spintaneo”) pensare a sant’Ilario piuttosto che a Conte, Renzi, Zingaretti, Di Maio e compagnia stonando.
Mentre a Roma si litiga o, ancor peggio, si fa finta di litigare sul governo del Paese (del Paese ho l’impressione che non freghi niente a nessuno, tanto che i cittadini vengono (ri)mandati a quel Paese…), a Parma si blatera per mettere in crisi la giunta Pizzarotti, rea di avere tenuto rapporti contrattuali con una onlus chiacchierata operante nel campo dell’accoglienza agli immigrati (tutto da dimostrare, ma tutto serve a fare un po’ di casino…).
E chi era sant’Ilario? Riporto un breve profilo tracciato da Matteo Liut su Avvenire. Solo per rendere l’idea del personaggio: “La fede cristiana non è semplice atteggiamento dell’animo fatto di gentilezza e accoglienza, ma un mistero profondo che scava nell’anima e lì trova il Dio che è Padre, Figlio e Spirito Santo. E proprio quella della Trinità è una delle realtà più complesse da comprendere, una dimensione che fin dai primi secoli è stata approfondita e studiata dai Padri della Chiesa, come sant’Ilario di Poitiers, vescovo e dottore della Chiesa. Il suo “De Trinitate” è un’opera affascinante e complessa, espressione di una profonda conoscenza delle Scritture, pensata per contrastare il diffondersi delle eresie come l’arianesimo, che negava la divinità di Cristo. Uno scritto che testimonia la profonda preparazione dell’autore, nato forse nel 315 da famiglia pagana, e formatosi alla luce della filosofia neoplatonica. Affascinato dalla Bibbia, Ilario chiese il Battesimo e subito dopo, attorno al 353, venne scelto come vescovo di Poitiers. A causa dell’odio dei teologi eretici subì sei anni di esilio, ma dagli studi coltivati in questo periodo nacque proprio il “De Trinitate”. Morì nel 367”.
Ebbene ammetto di essere molto più interessato agli studi di sant’Ilario che non alle menate della politica parmense e persino alle dissertazioni programmatiche del sindaco, ai voli pindarici dell’assessore alla cultura e finanche alle proposte pastorali del vescovo. Tutto sommato mi risulta meno misteriosa la Santissima Trinità rispetto ai giochi di una città perennemente alla spasmodica ricerca di se stessa. E più ci si affanna in questa autoreferenziale ricerca più si resta emarginati dal resto del mondo. Ora almeno sappiamo con chi prendercela: il coronavirus ci ha tarpato le ali proprio quando stavamo per spiccare il volo culturale e, come succede alle rondini, se si cade in terra non ci si rialza più. A meno che non ci aiuti sant’Ilario, solo a questo livello possiamo uscire dal pantano in cui stiamo sprofondando.