Quando un politico va in difficoltà e tutti lo attaccano prendendolo magari di mira sul piano personale, rinfacciandogli tutte le gaffe accumulate nel tempo, è il momento che mi diventa simpatico e tendo a difenderlo solidarizzando con lui. È il caso dell’assessore lombardo al welfare Giulio Gallera.
Sembra che di lui vogliano la testa i leghisti, lui è di Forza Italia: mi è sembrato, fin dall’inizio della pandemia, il classico bauscia lombardo prestato alla politica. La Lombardia, nel bene e nel male, è fatta così, quindi niente di nuovo e niente di scandaloso. Effettivamente Gallera ha inanellato una serie di cazzate a viva voce, che fanno più sorridere che arrabbiare. Elementi concreti dal punto di vista amministrativo, atti a giudicarlo seriamente, non sono in grado di averne. Occhio e croce non mi sembra peggio del chiacchierato presidente Fontana e di parecchi suoi colleghi lombardi ed extra-lombardi.
La sua eventuale giubilazione mi sembra quindi un fatto squisitamente politico: la Lega ha “l’autofiato” sul collo da parte di Luca Zaia, il governatore veneto sugli altari, e quindi non può permettersi il lusso di segnare il passo in Lombardia e soprattutto non può soffrire più di tanto il consenso calante di Matteo Salvini. La miglior difesa è sempre l’attacco, magari contro l’alleato debole, vale a dire Forza Italia, la quale soffre e tace e non riesce a spiaccicare parola in difesa di Gallera, suo storico esponente di primo piano.
Se andiamo a gaffe, Salvini non è secondo a nessuno, di cazzate ne spara, come minimo, una al giorno, per levare la politica di torno. Ma evidentemente lui le sa dire, c’è modo e modo di dire cazzate. Ci sono quelle che fanno audience, che conquistano voti, che ispirano simpatia e ci sono quelle che danno un certo fastidio: evidentemente Gallera rientra nella categoria dei gaffeur negativi.
Forse anche in Lombardia faranno un rimpasto di governo, ipotesi che sta prendendo corpo anche a livello centrale. Di rimpasto in rimpasto la politica eredita dal passato i vizi senza recuperare alcuna virtù. La storia insegna che nei rimpasti vengono generalmente coinvolti non i soggetti peggiori, ma i più clamorosamente deboli. È sempre la solita storia!
Il pensiero va molto indietro nel tempo, a metà degli anni ’70, al terremoto che a Parma lo scandalo edilizio aveva procurato nella giunta comunale di allora (PCI – PSI) alla ricerca di una frettolosa rilegittimazione. Bisognava voltare pagina, cambiare uomini, ripulire la bottega: partì una sorta di caccia alle streghe in cui ci rimise le penne (se non ricordo male: l’occasione potrebbe essere stata un’altra ma la questione non cambia) anche l’assessore alla pubblica istruzione, il prof. Aleramo Capelli, uomo di indiscussa moralità, di notevole livello culturale, di grande impegno amministrativo, col quale avevo avuto modo di collaborare e di confrontarmi pur partendo dalle mie modeste funzioni di consigliere e di presidente di quartiere. L’onda populista partì anche allora ed ebbe un effetto paradossale ed ingiusto su un uomo che seppe difendersi con dignità, ma anche con decisione culminata in un intervento infuocato e di grande spessore, durante una seduta consigliare.
Perché faccio questa puntata storica? Perché occorre porre attenzione al populismo, che, se da una parte comporta il rischio minimale di buttare lo sporco sotto il tappeto, a volte può indurre a ricercare comodi capri espiatori, talora a manovrare il sistema, svuotando la democrazia ed usandola come cortina fumogena per la copertura degli interessi di parte.
Esiste un populismo reattivo del dopo ma anche un populismo scientifico pilotato in anticipo. In una intervista Gustavo Zagrebelsky disse della lezione politica di Norberto Bobbio: “Sapeva bene che, senza sostanza, la democrazia si trasforma in un guscio vuoto che può contenere, cercando magari di nasconderla o imbellettarla, qualsiasi sozzura e che ciò, alla fine, si rivolge contro le sue regole formali, rendendole odiose ai più. Se le procedure democratiche si riducono ad una scorciatoia per gli interessi dei potenti di turno, è facile che la frustrazione dei molti possa essere indirizzata contro la democrazia, invece che contro chi ne abusa. L’origine del populismo è questa”.
Per un certo periodo la frustrazione dei molti trovava un argine prima ed una risposta poi nella capacità dei partiti di rigenerarsi: oggi tende purtroppo a prendere la scorciatoia del populismo centrale e periferico (interpretato da autentici fuoriclasse che stanno facendo scuola al centro ed in periferia). Forse sto dando alla vicenda di Giulio Gallera un’importanza eccessivamente emblematica, forse gli sto conferendo l’esagerata dignità di capro espiatorio, forse però non sono lontano dalla verità. L’altare di Salvini val bene una messa (in mora) di Gallera…