L’arlecchinata regionalista

Non ero fra i sostenitori ante litteram dell’istituzione delle Regioni – anche se prevista dalla Costituzione – non per motivi politici (il timore che i comunisti si impossessassero del potere con una rivoluzione a macchia di leopardo), ma per dubbi e timori che si potesse scatenare un subdolo discorso di indipendentismo nonché una prevedibile dilatazione burocratica.

Siccome la pandemia ha messo a nudo tutti i difetti e le carenze della nostra società, anche l’assetto regionale è nel mirino Covid: un’autentica arlecchinata di tattiche diverse, un’assurda gara a fare i primi della classe, una esagerata attenzione alle spinte corporative, un casino pazzesco con lo Stato centrale a fare da arbitro in una partita senza esclusione di colpi.

Anche se non sono un giurista, ho notato diverse forzature legislative nei percorsi istituzionali adottati nella lotta al coronavirus. Forzatura per forzatura – mi permetto il lusso di fantasticare – avrei revocato diversi poteri inerenti la gestione della pandemia riservati alle Regioni: probabilmente sarebbe stata necessaria una modifica costituzionale con tempi lunghi e si sarebbe scatenato un putiferio istituzionale, ma forse avremmo un po’ di chiarezza e di efficacia in più nella lotta al Covid 19.

Non è possibile che ogni Regione vada per proprio conto. Mancava solo l’arcobaleno zonale varato dal governo e tiramollato dalle regioni stesse, sballottate dal rosso fuoco (?) di chiusure (quasi) rigide all’arancione pallido (?) delle porte girevoli, al giallo rosa (?) del si salvi chi può. Non è una cosa seria, che sta dando risultati molto leggeri e insufficienti (ci voleva poco a capirlo…). Questa originale trovata non si capisce se sia dovuta alla debolezza del premier Conte, assai sensibile ai ricatti corporativi, oppure al “primadonnismo” regionale di cui sopra oppure alla mente fervida e scatenata degli scienziati. Di tutto un po’!

Adesso è la volta della riapertura delle scuole: ogni regione ha la tendenza a fare di testa propria in un bailamme educativo assai peggiore rispetto ad una chiusura generalizzata e prolungata come purtroppo avvenne in tempo di guerra. Adesso infatti oltre la guerra al coronavirus, abbiamo la guerra fra le Regioni.

Si sta profilando una certa bagarre anche in campo vaccinale: è partita la classifica per misurare la tempestività dei programmi di intervento. C’è chi accelererà le procedure a costo di compromettere la sicurezza dei vaccinandi, c’è chi le burocratizzerà per non disturbare troppo le categorie professionali interessate, già tartassate a sufficienza, c’è chi scaricherà sul governo centrale ritardi e incongruenze.

Alcuni anni or sono, per fare un piacere alla Lega e toglierle un argomento di propaganda, si accentuarono malauguratamente e confusamente i poteri delle Regioni; oggi si vorrebbe ancor più allargare l’autonomia con una sorta di battaglia fra nord-regionalista e sud-centralista. I risultati ottenuti ed ottenibili sono sotto gli occhi di tutti.  Non sarà il caso di “dare un taglio” a queste menate pseudo-autonomiste per puntare a che ognuno faccia bene il suo mestiere, punto e stop?

Aggiungiamoci anche il protagonismo dei governatori (?) – già solo il titolo mi fa innervosire – i quali non si capisce se siano rigoristi quando il governo centrale è possibilista e/o possibilisti quando i ministri sono rigoristi. Lo spirito di contraddizione, che, a quanto pare, si vende nelle farmacie regionali. In un momento storico come l’attuale avremmo bisogno di molta precisione e chiarezza di ruoli, competenze e procedure, altrimenti, come sta succedendo, si rimane vittima di un ginepraio in cui il Covid la fa ancor più da padrone.