Le mutande berlusconiane e i salviniani pantaloni alla zuava

 

“Il Presidente Mattarella ha saputo esprimere nel modo più alto il comune sentire degli italiani al termine di un anno difficile. Siamo in perfetta sintonia con ogni parola del Capo dello Stato, che ha saputo cogliere la sofferenza di tanti italiani, le difficoltà delle imprese, le angosce delle categorie meno tutelate, donne, giovani, disabili, lavoratori autonomi, precari. Credo in particolare sia molto importante che il Presidente della Repubblica abbia ribadito, in questa occasione solenne, l’appello ad un’unità sostanziale della nazione e della sua classe dirigente, unità che non cancella le distinzioni di parte ma che le supera in nome della comune responsabilità verso il futuro del Paese e verso le nuove generazioni”. Lo ha affermato Silvio Berlusconi, leader di Forza Italia, commentando il discorso di fine anno del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

Ho passato in rapida rassegna le stucchevoli reazioni politiche al discorso di fine anno di Mattarella e ho riscontrato come la nota più positiva e plaudente sia quella del cavaliere errante, figura della letteratura cavalleresca medievale. L’aggettivo “errante” (cioè viaggiatore, girovago) indica come il cavaliere vagabondasse per vasti territori in cerca di avventure, o allo scopo di dimostrare il proprio valore. Ebbene trovo che il discorso calzi a pennello su Silvio Berlusconi, il quale però sta vagando fuori tempo massimo, sta diventando il nonno della famiglia del centro-destra che gira per casa in mutande. Fa più tenerezza che rabbia. Peccato non conti più un cazzo, almeno per la politica (salvo una rentrée da non escludere, vista la fantasia dell’uomo), conta per gli interessi suoi e delle sue imprese.

Chi gli è rimasto intorno e gli vuole bene lo sta consigliando di smarcarsi dagli opprimenti giochi della destra italiana. Quale migliore scappatoia dell’attestarsi all’ombra dell’inquilino del Colle? Berlusconi è sempre e comunque d’accordo con Mattarella. Se il capo dello Stato lo mandasse a dar via i piedi, cosa che l’eleganza e la bonomia del presidente lo impediranno comunque, lui sarebbe d’accordo e direbbe: “Mattarella ha proprio ragione, non mi resta altro da fare”.  L’opportunismo non ha limiti, quello di Berlusconi peraltro è perfettamente in linea con tutta la sua esistenza: è come una malattia ha la fase aggressiva, poi si cronicizza, poi diventa innocua anche se non sparisce mai del tutto.

D’altra parte è tutto in coerenza con l’aspetto fisico: sembra sempre su un carro mascherato a Viareggio, recita la sua parte fino in fondo, sembra quasi chiedere scusa del disturbo arrecato (non poco per la verità), sta cercando il modo di chiudere in bellezza anche se lui non chiuderà mai a costo di diventare ridicolo. E pensare che Sergio Mattarella è stato un suo acerrimo nemico politico: il 27 luglio 1990 si dimise dall’incarico di ministro insieme ad altri esponenti della sinistra democristiana (Mino Martinazzoli, Riccardo Misasi, Carlo Fracanzani e Calogero Mannino) per protestare contro la fiducia posta dal governo sul disegno di legge Mammì di riassetto del sistema radiotelevisivo, che venne soprannominato sarcasticamente legge Polaroid in quanto, a detta dei detrattori, esso si limitava a fotografare l’esistente condizione di duopolio, legittimando la posizione dominante del gruppo televisivo Fininvest di Silvio Berlusconi. Acqua passata, tanto il cavaliere trovò un potente alleato nel popolo italiano.

Personalmente sono stato non tanto un antiberlusconiano, ma un “aberlusconiano”: per me questo personaggio non esisteva, era fuori dalla mia mentalità, ne capivo l’estrema pericolosità, non l’avrei votato nemmeno sotto tortura, ci vedevo molti tratti di fascismo riveduto e corretto, intravedevo una deriva che avrebbe portato l’Italia in malora. Molti sottovalutarono il pericolo e si allearono con lui, altri lo combatterono in modo schematico e poco incisivo.

Ebbene non vorrei mai che mi toccasse rimpiangerlo ed in effetti, quando vedo e sento Matteo Salvini e Giorgia Meloni, lo rimpiango con una certa nostalgia: è proprio vero che al peggio non c’è mai un limite. Quando si insediò il primo governo Berlusconi, dai banchi berlusconiani del parlamento gridarono a Massimo D’Alema, che stava osteggiando, in modo forte ed altezzoso, la nascita di quel governo: “Rimpiangiamo il partito comunista…”. Lui, con la sua solita vis polemica, rispose: “E io rimpiango la democrazia cristiana…”. Sì, qui è tutto un rimpianto, non si finisce mai di rimpiangere il passato. Rimpiangere Berlusconi è il non plus ultra e in parte, seppure tra il serio e il faceto, mi sta succedendo.