Non è ancora iniziata la complicata e delicata fase della somministrazione del vaccino anti-covid e siamo già schiavi dello schema manicheo: obbligatorietà sì – obbligatorietà no. Siamo più propensi ad impostare la secca e radicale rivincita sul negazionismo che ad impostare e gestire una seria vaccinazione di massa: vogliamo sbrigativamente diventare gregge per conquistare l’immunità tramite un decreto ai limiti della costituzionalità; vogliamo vincere la guerra a tavolino prima di combatterla sul campo. A chi voleva testardamente che la guerra del covid non esistesse rispondono coloro che intendono chiuderla con una presunta bomba atomica anziché battagliarla gradualmente e razionalmente.
Il dizionario italiano Olivetti definisce “l’obbligazionismo” come la tendenza a trasformare i rapporti sociali in un sistema di obblighi giuridici imposti dall’alto. La tentazione di agire alla “cinese” è in agguato. Durante i primi giorni della lotta al coronavirus, con la zona di Codogno isolata e messa in quarantena, provvedimento che poi purtroppo dovette essere allargato all’intero territorio nazionale, un cittadino fece un’uscita clamorosamente trasgressiva, andò a sciare e si procurò una frattura che venne regolarmente curata in ospedale. A Marcello Lippi, allenatore di calcio, impegnato per alcuni anni come commissario tecnico della nazionale cinese, è stato chiesto cosa pensasse della Cina e del coronavirus. Azzardò una similitudine paradossale, ma non più di tanto: al cittadino italiano in fuga dal lock down è stata sistemata la frattura alla gamba, in Cina lo avrebbero messo al muro.
Rispunta sempre l’illusione di risolvere i problemi con le maniere forti. Mio padre credeva così fermamente alle regole ed alla necessità di rispettarle che ingenuamente si illudeva di risolvere il problema dell’evasione carceraria apponendo un cartello: “chi scappa sarà ucciso”. Non aveva una mentalità autoritaria, ancor meno violenta, ma aveva uno spiccato senso del dovere, innanzitutto per se stesso e poi lo pretendeva anche dagli altri. Atteggiamento per un verso virtuoso e ammirevole, pericoloso se portato all’eccesso.
Ero piccolo, ma serbo un ricordo molto preciso della mia vaccinazione antivaiolosa. Ero con mia madre nella sala d’aspetto dell’ambulatorio comunale dove si svolgevano le vaccinazioni: i bambini piangevano per l’impressione del subire una strana puntura d’ago e per l’austera insofferenza di un’anziana dottoressa. Ero anch’io piuttosto preoccupato, mentre tra le mamme era in corso la discussione sull’obbligatorietà del vaccino. Alcune erano contrarie e dichiaravano apertamente, alla faccia di Jenner e Pasteur, di considerare come un sopruso quella vaccinazione: raccontavano strane vicende di gravi effetti collaterali. Altre erano scettiche sulla validità del vaccino e se ne stavano immusonite ad aspettare con un certo fastidio il loro turno. Altre, come mia madre, senza enfasi e con discrezione, confessando l’ignoranza in materia si affidavano alla scienza e al dovere civico di proteggere i figli da questo rischio. La saggezza delle donne di una certa età è sempre l’arma migliore.
Al presidente del consiglio si chiede continuamente se abbia o meno l’intenzione di rendere obbligatoria la vaccinazione contro il covid: non c’era ancora il vaccino e già si litigava sulla sua eventuale obbligatorietà. La tentazione di prendere la scorciatoia è sempre grande anche se comporta il forte rischio di allontanarsi dalla meta. Mi stupisco che nessuno abbia ancora parlato di convocare un referendum sull’argomento. Al governo si imputa una certa qual faciloneria legislativa nel percorso adottato a suon di DPCM in bilico sul filo della legittimità costituzionale e del rispetto istituzionale. Figuriamoci se venisse varata una norma di obbligatorietà vaccinale: si scatenerebbe un finimondo di polemiche e si otterrebbe l’effetto contrario, perché dietro l’obbligo si intravvederebbe una tendenza autoritaria o un paravento dietro cui nascondere ritardi e inadempienze precedenti.
È vero che la situazione è drammatica e il tempo stringe, ma evitiamo di semplificare all’eccesso i problemi riducendoli all’obbligo di sottoporsi a vaccinazione, creando oltre tutto l’errata convinzione che con una “punturina” tutto vada a posto per tutti o ancor peggio solo per chi riuscirà a farsela fare il più alla svelta possibile. Al momento preoccupiamoci di garantire una somministrazione che rispetti le priorità di chi è più esposto al rischio di infezione, che eviti speculazioni, raccomandazioni, confusioni di ruoli e di competenze, che avvenga con assoluta professionalità e soprattutto evitando l’eventualità che le reazioni allergiche possano costituire una pioggia aggiuntiva di paura sul bagnato dell’angoscia. Tutti ricordiamo, alcuni anni or sono, la spiacevole e devastante polemica sugli effetti del vaccino anti-influenzale: sembrava che mietesse più vittime il vaccino della malattia. Stiamo attenti e non mettiamo il carro davanti ai buoi.