Oggi, a grandi linee, la legge elettorale – nota come Rosatellum dal suo relatore Ettore Rosato – prevede che il 37% dei seggi in Parlamento siano assegnati con sistema maggioritario, mentre il restante 61% con il proporzionale. La soglia di sbarramento per essere eletti è fissata al 3% per le singole liste, ma sale al 10% per le coalizioni. L’idea su cui si sta confrontando il centrodestra è di eliminare i collegi uninominali eletti con il maggioritario e mantenere un proporzionale con premio di maggioranza alla coalizione vincente che supera una certa soglia. Un altro tema in discussione inoltre, è l’indicazione del nome del candidato premier nella scheda, in una sorta di “anticipo” del premierato, la riforma fortemente voluta da Fratelli d’Italia e ancora in cantiere. (fanpage.it)
È tipico dei bambini, quando si accorgono di rischiare di perdere al gioco, cambiare in fretta e furia le regole per mettersi al coperto. Mi sembra che ciò stia succedendo al centro-destra che, dopo la sconfitta alle elezioni regionali di Campania e Puglia, ha il timore di rischiare grosso alle prossime elezioni politiche del 2027. E allora, tra premierato e riforma della legge elettorale, si starebbero preparando le contromisure atte a imbambolare ulteriormente l’elettorato sempre più ristretto e disattento ed a scongiurare gli effetti di un’alleanza di centro-sinistra allargata e finalmente coesa.
Siamo solo agli inizi, ma, come ha recentemente affermato il Presidente della Repubblica, potrebbero iniziare le manovre per rispondere in negativo all’astensionismo, spoliticizzando il confronto elettorale con l’introduzione del premierato e riportandolo ad una certa qual bagarre proporzionalista in cui il centro-sinistra potrebbe disperdersi nel solito “tutti contro tutti”.
Giorgia Meloni, se capisco le sue intenzioni, concederebbe in questo modo agli alleati l’illusione di contare qualcosa e toglierebbe agli avversari l’arma dell’unione che fa la forza. Riformare la politica partendo dalla legge elettorale è cosa provocatoriamente insulsa.
Dopo avere affossato incredibilmente l’esperimento Mattarella-Draghi nel 2022, ci si sta attrezzando per ostacolare un confronto politicamente serio nel 2027. La politica fa paura a chi non crede nella democrazia, mentre il populismo fa bene a chi lo vende e a chi lo beve senza battere ciglio. Stiamo vivendo un periodo in cui le elezioni non sono l’atto finale della politica, ma la sua devitalizzazione preventiva. Roba da matti!
E se una buona volta gli elettori si stancassero di essere presi per i fondelli e, anziché fare gli schizzinosi, andassero a votare in massa al di là degli stucchevoli meccanismi elettorali? Il referendum sulla riforma costituzionale potrebbe essere la prova generale. Ricordiamoci che i cittadini a volte sanno essere capaci di sani e imprevedibili rigurgiti di orgoglio democratico. La democrazia in fin dei conti sarebbe anche e soprattutto questo: quando uno si accorge che gli vogliono portare via qualcosa che magari stava sottovalutando, potrebbe rientrare in se stesso e reagire difendendo con le unghie e con i denti l’oggetto del tentato scippo.
