Flavia Pennetta ex tennista, venuta a rendere omaggio alla salma di Giorgio Armani assieme al marito Flavio Fognini anche lui ex-tennista, ha detto una frase che mi ha letteralmente stordito: “Noi avremo un compito, quello magari con le nostre bambine di far capire che cos’è l’eleganza, quello che Armani è stato per tutti noi e continua ad esserlo”.
Qualche tempo fa mi è capitato di ascoltare involontariamente le chiacchiere di un gruppo di mamme in attesa dell’uscita dalla scuola elementare delle proprie figlie. Una di esse ostentava le proprie lamentele per l’eccessivo carico educativo a cui era sottoposta sua figlia: «Al lunedì e mercoledì scuola di musica, al martedì e al giovedì lezioni di danza classica, al venerdì e al sabato lezioni di inglese…dulcis in fundo era arrivata la goccia che rischiava di far traboccare il vaso, vale a dire il catechismo in parrocchia. Non se ne poteva proprio più…». Mi friggeva la lingua, ma mi sono trattenuto, avrei voluto dirgli: «Lei ha messo all’ultimo posto il catechismo non tanto in ordine di tempo, ma di importanza: rifletta sul fatto che dovrebbe stare al primo posto nella scala educativa, ben prima di tutti gli altri impegni…».
Don Raffaele Dagnino sarebbe stato ancor più provocatorio con quella mamma “moderna”, rivolgendole questo categorico invito: “Sarà zôgh c’la porta so fiôla a la scôla dilj òpri bón’ni…”.
Torno a Giorgio Armani ed al clamore suscitato dalla sua morte e dalla sua conseguente eredità culturale: ho sentito dire cose assurde del tipo che Armani avrebbe cambiato la nostra società. Ormai abbiamo perso il senso della misura e delle proporzioni.
Lungi da me sottovalutare il genio imprenditoriale di questo personaggio ed il suo contributo alla vita economica del Paese, ma cerchiamo di essere seri e di non farci prendere dalla smania di santificazione laica proprio nei giorni in cui la Chiesa cattolica ha santificato religiosamente due giovani della porta accanto, magari poco eleganti nelle loro scelte ma molto significativi nei loro messaggi esistenziali.
D’altra parte i funerali ormai comportano l’applauso facile: sotto sotto è un modo per esorcizzare la morte affidando il morto all’eterno (sic!) successo mondano. E pensare che il mio carissimo amico sacerdote don Luciano Scaccaglia veniva aspramente criticato per l’invito che rivolgeva ai partecipanti alla messa di applaudire alla proclamazione della Parola di Dio.
Ho apprezzato che Giorgio Armani abbia voluto funerali in forma privata: ci ha risparmiato un ulteriore fuorviante bagno di folla. Molto più saggio lui delle migliaia di suoi fans, che hanno dato aria ai denti in attesa di omaggiare la sua salma. La nostra società soffre la mancanza di valori assoluti e si attacca a quelli relativi.
Mio padre amava mettere a confronto il fanatismo delle folle di fronte ai divi dello sport e dello spettacolo con l’indifferenza o, peggio, l’irrisione verso uomini di scienza o di cultura. Diceva: “Se a Pärma a véna Sofia Loren i corron tutti, i s’ mason par piciär il man, sa gnìss a Pärma Fleming i gh’ scorzarisson adrè.”
Con tutto il rispetto per Sofia Loren credo che Giorgio Armani abbia fatto qualcosa in più, ma il ragionamento di mio padre era un altro: stiamo attenti a non incoronare re un personaggio nobile ma di portata ben più limitata.
A proposito di re mi sovviene la riflessione del cardinale Angelo Comastri sul terzo mistero doloroso del Rosario: l’incoronazione di spine di Gesù. Dice il cardinale: “Pensate quante corone mettiamo sul capo di personaggi mondani…sulla testa di Dio che ci viene a salvare ne mettiamo una di spine…”.
Chiedo scusa a Giorgio Armani anche perché non gli hanno fatto un gran servizio, probabilmente meritava ben altro che il superficiale bagno mediatico a cui è stata sottoposta la sua persona.