Il lutto si addice ai potenti

Quando in una famiglia succede un evento luttuoso, scatta immediatamente un senso particolare di appartenenza e di solidarietà fra i suoi componenti e le interferenze dall’esterno, se non sono dettate da vera amicizia e solidarietà, creano solo disturbo e fastidio.

Forse è ciò che sta succedendo, almeno per quanto mi riguarda, per la Chiesa colpita dalla morte di papa Francesco: non mi sono mai sentito così inserito, seppure criticamente, in essa come in questo frangente e quindi non posso sopportare le incursioni della politica, della cultura laicista e del circo mediatico.

Il mondo politico sta salendo ipocritamente sul carro papale dopo averne ignorato o addirittura osteggiato i messaggi, soprattutto quelli sul problema dei migranti, dei carcerati e del commercio delle armi. Sono improvvisamente diventati tutti pacifisti, progressisti e solidaristi, non vogliono perdere la ghiotta occasione di cavalcare il lutto.

Paradossalmente il personaggio più coerente mi sembra Benjamin Netanyahu: irritato assai dalle sacrosante invettive di papa Francesco in merito ai massacri del popolo palestinese, ha il coraggio di restare indifferente alla sua morte. Meglio la sua ostentata insofferenza della opportunistica partecipazione trumpiana, che copre di tradizionalismo cattolico l’offensiva reazionaria in atto nel mondo, capeggiata proprio dalla politica statunitense più o meno subita e/o addirittura ispirata dalla gerarchia cattolica e seguita pedissequamente da un popolo bigotto.

Ho evitato sdegnosamente di seguire la seduta parlamentare in ricordo di papa Francesco: una insopportabile gara a coniugare la popolarità papale con il populismo delle destre, il coccodrillismo dei centristi e il fancazzismo delle sinistre. Il governo usa il lutto nazionale per cancellare i propri peccati in opere, le sinistre usano le loro parole per alleggerire i peccati di omissione. Siamo arrivati all’eloquente lapsus freudiano del ministro Musumeci sulla sobrietà delle celebrazioni del 25 aprile.

E che dire dello scatenamento del totopapa, condito da teorizzazioni pseudo ecclesiali, che in realtà ripropongono i frusti schemi della politica politicante applicandoli ad una Chiesa reformanda sì, ma non in mano a dilettanti allo sbaraglio. Non dimentichiamoci infatti che, nonostante tutto, la Chiesa ha nelle sue mani un jolly capace di far tornare anche i giochi più difficili e spericolati: nientepopodimeno che lo Spirito Santo.

Nella sarabanda del dopo-francesco non tutto è “burla”, c’è un dato confortante anche se un tantino “inquietante”: la gente comune dimostra di avere capito e di essere in sintonia con le proposte di papa Francesco molto più delle classi dirigenti laiche e cattoliche. Qualcuno si è lanciato nel giudicare questo fenomeno come un pericoloso populismo pseudo-evangelico. Le persone, credenti, non credenti, diversamente credenti, non sono così stupide come possa credere o far credere chi esercita il potere, sanno cogliere e giudicare nelle loro coscienze.

Resta un interrogativo? Perché questa gente di fronte alla politica si lascia turlupinare, non partecipa, non va a votare o vota in base a criteri opposti rispetto alla cultura emergente dalla tanto osannata proposta bergogliana? Evidentemente c’è, come si suole dire, qualcosa che tocca. Se lo chiedano i cattolici a cominciare dalle più alte gerarchie: la fede senza le opere non vale niente…Se lo chiedano le classi dirigenti in generale e quelle politiche in particolare: si stanno svuotando le chiese e i seggi elettorali. Va bene così fino alla prossima morte di papa?