La morte di papa Francesco ha inevitabilmente aperto un certo dibattito sul futuro conclave anziché creare i presupposti per una forte presa di coscienza critica sulla situazione ecclesiale in tutti i suoi aspetti. Da una parte è scattata come una molla la sacrosanta ammirazione per un papato tutto da scoprire, dall’altra la gossipara previsione in chiave politica del dopo Bergoglio, fino ad arrivare al toto-conclave imbastito sulle fazioni cardinalizie in campo. Il tutto rischia di rientrare in un battage mediatico esterno e nella solita impenetrabile liturgia gerarco-clericale all’interno. Occorre perciò sforzarsi di trasformare questo passaggio vitale per la Chiesa in un momento di consapevole crescita di tutto il Popolo di Dio.
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Innanzitutto è auspicabile che, anche per merito delle innegabili novità introdotte dall’impostazione pastorale di Bergoglio, possa essere, almeno in parte, superata la visione unilaterale e verticistica del “papacentrismo”: la Chiesa Cattolica è una comunità ed al suo interno esistono carismi (servizi) fra i quali c’è anche quello del Vescovo di Roma. A tutti i livelli, la Chiesa deve esprimere, all’interno e all’esterno, la piena e totale adesione allo stile evangelico, liberata dalle incrostazioni della tradizione e dai lacci dell’esercizio del potere. Quindi la procedura della scelta e l’impostazione dell’alta funzione papale devono essere rivisti sostanzialmente e formalmente in un bagno di partecipazione e condivisione coinvolgente: bisognerebbe partire dall’assoluto primato della dimensione pastorale rispetto a quella istituzionale; al centro dello stile ecclesiale si dovrebbe porre la collegialità episcopale; la vita dell’istituzione e la stessa pastorale andrebbero sclericalizzate, liberate dall’affarismo, ridotte all’essenziale in senso economico ed organizzativo e subordinate alle esigenze evangeliche; occorrerebbe puntare al forte coinvolgimento del laicato ed alla imprescindibile valorizzazione della presenza femminile. Molto è stato fatto in questi dodici anni, ma molto resta ancora da fare.
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Nonostante l’impegno instancabile profuso da papa Francesco rimane la difficoltà della Chiesa nel leggere i segni dei tempi e nell’andare incontro ai problemi dell’uomo, della donna, della società, del mondo. Non basta un papa aperto per superare il dramma di una Chiesa che si piange addosso, che si guarda l’ombelico, che arranca rispetto alle sfide del mondo contemporaneo, che si rifugia nello sterile dogmatismo e nel penoso rigorismo, che si limita a rammaricarsi della scarsità degli operai nella vigna e della propria appassita capacità all’impegno evangelico, che vive spesso di campanilismo ecclesiale o di retrograda contrapposizione alla modernità, che non rispetta la laicità dello Stato, che si compromette col potere, che difende ipocritamente la vita con i principi irrinunciabili senza condividere i drammi delle persone.
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Occorre proseguire nel raccogliere le provocazioni del Concilio Vaticano II per andare anche oltre: la collegialità vissuta come partecipazione di tutti, la centralità del Popolo di Dio, l’apertura al ruolo della donna nella pastorale e nei sacramenti, una visione nuova e gioiosa della sessualità nel rispetto delle tendenze personali e intime e, soprattutto, una Chiesa povera, trasparente a livello economico, esperta in comprensione, quella di Gesù, e non in condanne e anatemi. Su questi temi papa Francesco è stato molto ficcante in materia di povertà, misericordia e superamento del clima di caccia alle streghe; non altrettanto sulla piena valorizzazione del ruolo della donna e soprattutto per quanto concerne la sessualità.
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Non si può evitare di toccare gli aspetti più scabrosi della vita della Chiesa che risalgono al rapporto tra magistero ecclesiale e sfera della sessualità con assurdi imbarazzi e storici pregiudizi: dalla colpevolizzazione della masturbazione a livello adolescenziale alla esorcizzazione dei rapporti pre-matrimoniali, dalla condanna del divorzio con la conseguente emarginazione sacramentale dei divorziati, alla demonizzazione dell’aborto sempre e comunque, dal rifiuto aprioristico del controllo delle nascite a quello paradossale dell’uso del preservativo anti-aids, dalla sottovalutazione delle unioni di fatto, dalla testarda difesa del celibato sacerdotale alla visione formalistica e statica del concetto di castità. Parecchi Padri della Chiesa aborrivano la sessualità, ne erano inorriditi e terrorizzati. L’atto sessuale era follemente bollato nella sua esecrabile impurità, la riproduzione doveva avvenire senza provare alcun piacere, come atto razionale e scevro da ogni passionalità. Una storia simile spiega molte delle gravi devianze, anche attuali, da parte di uomini di Chiesa. Sessuofobia fa rima con sessuomania e con viziosa omosessualità, purtroppo di casa in Vaticano e ambienti collegati. La pur minore ostilità dimostrata da papa Francesco verso l’omosessualità non fa totale giustizia di quella dichiarata e vissuta in una tensione sentimentale finendo col lasciare spazio alla sporca indulgenza verso l’omosessualità dell’intrigo e del favoritismo mercenario. Occorre quindi ripartire da un concetto aperto della sessualità vissuta come dono di Dio, come espressione di amore e dono, come talento da impiegare al meglio secondo coscienza. Basta con gli assurdi e vessatori codici di comportamento!
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In estrema sintesi si è aperto un frettoloso e semplicistico dibattito in base alla schematica contrapposizione tra continuismo e indietrismo. L’impostazione data da Bergoglio verrà proseguita e magari migliorata almeno nelle sue linee fondamentali oppure si tenderà a voltare pagina secondo lo sbrigativo detto del “morto un papa se ne fa un altro”? La configurazione del Sacro Collegio è stata ben implementata, articolata ed equilibrata da papa Francesco e dovrebbe essere tale da escludere colpi di coda reazionari, anche se certe tentazioni sono sempre in agguato e le velleità conservatrici pronte a cavalcare ogni e qualsiasi momento di incertezza. Certe scelte di campo, come stare sempre e concretamente dalla parte dei poveri, difendere coraggiosamente i diritti dei migranti, lavorare radicalmente in favore della pace e contro ogni e qualsiasi guerra, favorire il dialogo ecumenico e inter-religioso, concepire una Chiesa aperta ai problemi della persona e pronta a schierarsi in sua difesa a livello individuale e sociale, appaiono consacrate dalla teoria delle encicliche e dalla prassi ecclesiale, ormai irreversibili e così forti da escludere la loro messa in discussione. Le correnti di pensiero possono anche essere positive purché non siano, come succede spesso in politica, un modo elegante per coprire manovre ed assetti di potere. L’azione dello Spirito Santo dovrebbe consistere proprio nell’evitare che i signori cardinali mandino in soffitta i testi evangelici e si lascino guidare dai manuali della curia vaticana.
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La forte presa di coscienza ed il coraggio del dialogo interno ed esterno dovrebbero essere il miglior viatico per un conclave che, al di là della teatrale liturgia, sappia promuovere un rinnovamento di metodo e di merito. La Chiesa ha bisogno di evolvere e la scelta del nuovo Papa deve esserne un’occasione importante. Non basta pregare e tacere. Credere e obbedire. Ogni cristiano ed ogni comunità deve portare il proprio contributo critico alla vita della Chiesa. All’attesa si devono accompagnare la riflessione, la provocazione, la protesta, la proposta, l’impegno, la testimonianza, la condivisione.