Parlare come l’uomo della strada, perché no? Tentare un discorso da bar? Oppure atteggiarsi a bullo di quartiere, usando parole (e parolacce) in libertà. L’importante è farsi capire subito. «Questi Paesi mi stanno chiamando per baciarmi il c…» ha detto Donald Trump, in un discorso tenuto alla cena del National Republican Congressional Committee. Si era tra amici, ma fino a un certo punto. Milioni di persone pendono dalle labbra del tycoon, rilanciano i suoi messaggi, lo ascoltano. Questa comunicazione che ha ben poco di cerebrale, che non è più nemmeno di pancia e che sta pericolosamente scendendo nelle viscere del Paese è davvero ciò che l’America di John F. Kennedy e Martin Luther King, ma anche di Ronald Reagan e George Bush senior, si merita oggi? Certo la volgarità funziona, parla a quella parte maggioritaria del Paese che ha in Trump e Vance i suoi paladini, permette di esibire prepotenze e insulti gratuiti nei momenti difficili, sposta l’attenzione dal merito delle cose, consente a chi parla di occupare tutta la scena, senza provare imbarazzi. Ma fino a che livello dovremo scendere, tra riferimenti sessisti, allusioni e il solito machismo? «Potrei scendere sulla Quinta Avenue e sparare a qualcuno e non perderei nemmeno un voto» diceva il primo Trump, quello eletto nel 2016. Sembrava una bellicosa provocazione, la “sparata” fuori controllo di un ex immobiliarista di successo abbagliato dal mercato e dalle luci della politica. Invece era solo l’inizio delle performance mediatiche di dubbio gusto dell’uomo più potente del mondo. E nell’enciclopedia del cattivo gusto non è stata neppure la pagina peggiore. (da “Avvenire” – D.M.)
Non è questione di educazione, di galateo, di buongusto, di linguaggio, di stile. È una questione squisitamente politica. Forse addirittura culturale, se con questo termine intendiamo il modo di porsi di fronte alla realtà. È un modo efficace di dialogare con la gente mettendosi in sintonia con essa? La politica può essere intesa in due sensi: come adeguamento agli istinti delle persone per soddisfarli illusoriamente oppure come accoglimento delle istanze razionali delle persone per offrire ad esse soluzioni compatibili con l’interesse generale.
Trump sta facendo la peggior sintesi possibile: porta gli istinti delle persone a coincidere con l’interesse generale e viceversa. Spesso conversando di politica con gli amici ho posto la domanda se la politica abbia raggiunto o meno il fondo da cui poter seppur faticosamente risalire. Se Donald Trump avesse il merito di portarci a toccare il fondo per poi provare a darci un colpo di reni all’insù, sarebbe paradossalmente da ringraziare.
Credo invece che con le sue parolacce seguite dai fattacci ci porti a normalizzare la “politicaccia”.
Nel periodo in cui mio padre lavorava da imbianchino come lavoratore dipendente si trovò ad eseguire un lavoro del tutto particolare, scrivere sui muri, a caratteri cubitali, motti propagandistici fascisti (“vincere”, “chi si ferma è perduto” e robaccia del genere).
Al geometra che sovrintendeva, ad un certo punto, tra il serio ed il faceto disse: “ Quand è ch’a gh’dèmma ‘na màn ‘d bianch? “. “Beh”, rispose in modo burocratico, “per adesso andiamo avanti così, poi se ne parlerà. A proposito cosa dice la gente che passa?”. Era forse un timido ed innocuo invito ad una sorta di delazione ma mio padre, furbescamente, non ci cascò ed aggiunse: “Ch’al s’ mètta ‘na tuta e ch’al faga fénta ‘d njent e ‘l nin sentirà dil béli “. La zona era infatti quella del parmigiano Naviglio, autentico covo di antifascismo e papà mi raccontò come, tutti quelli che passavano di lì, uomini, donne e bambini le sparassero grosse anche contro di lui, senza tener conto del famoso detto “ambasciator non porta pena”.
Bisognerebbe che andassimo a scuola dagli abitanti di borgo del Naviglio per smascherare le trappole del linguaggio trumpiano, che non è una novità ma una continuità. Torno infatti per un attimo ai tempi della Brexit.
La propensione scozzese verso l’Unione Europea, seppure almeno in parte strumentale rispetto alle loro mire indipendentiste, sfociò in rabbia e trovò, per ironia del destino, un ulteriore motivo di ribellione nelle parole proferite proprio in Scozia nei giorni del referendum dall’aspirante candidato repubblicano alle presidenziali americane, Donald Trump: «Vedo un reale parallelo fra il voto per Brexit e la mia campagna negli Stati Uniti». Come riferì Pietro Del Re, inviato di Repubblica, nel pub di John Muir a Edimburgo, quando Trump apparve in tv, tutti i clienti si avvicinarono allo schermo. Poi, tutti assieme cominciarono a urlargli insulti di ogni genere, il cui meno offensivo era senz’altro pig, porco.
Lasciamoci influenzare, consigliare e indirizzare dai parmigiani di molto tempo fa e dagli scozzesi di qualche tempo fa: a volte è necessario e soddisfacente mettersi sullo stesso piano per sparare parole in libertà.
Almeno potremo sfogarci e consolarci: “Trump al s’dà dil bòti da càn, ma nuätor a ghe dsème dil robi da gozèn”.