«Non è tutto bianco o tutto nero. Non si può dire riarmo o diplomazia». Rosy Bindi, ex ministra della Sanità e della Famiglia, ex presidente del Pd, non si allinea acriticamente né con le posizioni di chi è pronto a votare il piano europeo per il riarmo né con chi è pronto a respingerlo.
Quello che fino ad adesso conosciamo di questo piano è lo stanziamento di 800 miliardi, 150 di finanziamento europeo, e il resto come autorizzazione alla spesa fuori dal vincolo di bilancio per i singoli Stati. E si sa che forse non possono essere usati i fondi di coesione, condizione strappata da diversi Stati, compresa l’Italia. Ma al di là di questo, non si conoscono le linee di investimento e le priorità di spesa. Io penso che quando si stanzia una cifra così importante e si rompe il “sacro vincolo” del bilancio, si dovrebbe anche trovare un punto di incontro e di accordo su come vanno spese le risorse.
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Personalmente sono favorevole a una difesa europea comune e, almeno nella fase transitoria, ad un coordinamento delle spese per la difesa sostenute dai singoli Stati europei. Se la difesa fosse coordinata avrebbe bisogno di razionalizzazione e forse di innovazione. Ma un aumento senza uno strumento di coordinamento che faccia convergere in senso unitario gli strumenti delle difese nazionali rischia di far aumentare le spese militari dei singoli Paesi e di rallentare il cammino comune. Tutto ciò dovrebbe coinvolgere il Parlamento europeo e i Parlamenti nazionali.
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Io contesto la mancanza di strategia. Penso alla fretta con cui abbiamo risposto alle richieste di Trump, quando ci ha minacciato: tra alleati, a prescindere da chi guida i Paesi, ci dovrebbe essere un’interlocuzione. La Nato non è stata ancora sciolta e potrebbe essere la sede in cui iniziare un confronto. E poi c’è un altro aspetto: in questi anni di guerra siamo stati fin troppo subalterni o perché non abbiamo mai preso un’iniziativa diplomatica come Europa. Al là del cardinale Zuppi, quanto ci abbiamo provato? Noi abbiamo pagato prezzi altissimi di questa guerra. La vittima è senz’altro l’Ucraina, ma l’altra vittima è l’Europa, che ha pagato con l’inflazione e la crisi industriale. E quando è iniziato il dialogo tra Trump e Putin, noi non abbiamo chiesto di partecipare a quel tavolo, come di accompagnare Zelensky a Gedda. Siamo alleati, non sudditi. Io sono per la pace e per costruirla non si può continuare a produrre armi, ma dobbiamo lavorare sul piano diplomatico e produrre relazioni. Dovremmo riprendere la Via della seta per dialogare con la Cina e stabilire una relazione con i Paesi Brics. Non possiamo isolarci così. (dal quotidiano “Avvenire” – intervista rilasciata da Rosy Bindi a Roberta D’Angelo)
Concordo pienamente con l’analisi di Rosy Bindi: bisogna ragionare, dialogare, discutere, in una parola bisogna fare politica.
«Scusi, Lei è favorevole o contrario?» così chiese un intervistatore al mio professore di italiano, in occasione dell’introduzione del divorzio nella legislazione italiana, con l’assurda coda del referendum voluto a tutti i costi dalla gerarchia cattolica al cui volere la Democrazia Cristiana si piegò per ovvi motivi elettoralistici. «Tu sei un cretino!» rispose laicamente stizzito il professore. Credo non ci voglia molto a capire come l’intervistato rifiutasse il modo manicheo con cui veniva affrontato il problema. Di tempo ne è passato parecchio ed il populismo ha fatto molta strada al punto da ridurre tutta la politica, e non solo, ad un perpetuo referendum pro o contro qualcosa, ma soprattutto pro o contro qualcuno: un continuo strisciante plebiscito strumentalmente azionato, usato per ridurre a zero il dibattito sui problemi e fuorviare i cittadini con la ratifica delle finte ed illusorie soluzioni. Se non si discute, se si viene costantemente posti di fronte ad una facilona scelta di campo, lo sbocco è condizionato dai media e vince chi ha la voce più forte, vale a dire il peggiore.
Il piano europeo per il riarmo si inserisce in questo inaccettabile schema del prendere o lasciare. Il discorso e l’errore di fondo mi sembrano quelli di voler calare un provvedimento di portata enorme in una istituzione debole e divisa al limite dell’irrilevanza politica. È un po’ come mettere in mano una cifra spropositata ad un soggetto vanesio che vive alla giornata.
Difendersi è giusto, ma lo si deve fare assieme e compatibilmente con tutte le esigenze della comunità. Questo significa avere una strategia e non limitarsi alle tattiche del momento.
Potremmo dire che, bene o male, è stata fatta l’Europa Unita, ma gli europei non sono ancora stati fatti. E allora è conseguente che, in mancanza di europeismo convinto, ci si limiti ad adottare provvedimenti di mero ed esagerato opportunismo difensivo. Volendo usare una similitudine, l’Europa è una casa comune che si preoccupa soltanto di installare il più sofisticato dei sistemi antifurto e che però non riesce a gestire, spendere e utilizzare le risorse della casa perché ognuno le vuole tenere per sé.