Inestetismi teatrali e patologie culturali

«La direzione invita il pubblico a scegliere un abbigliamento consono al decoro del teatro, nel rispetto del teatro stesso e degli altri spettatori», spiega il sito del Piermarini. E i nuovi cartelli informano il «gentile pubblico» che non sono consentite «canottiere, pantaloncini corti e ciabatte»: tutti indumenti barrati in rosso negli avvisi, insieme con il cibo e le bibite, così da essere ancora più chiari. E chi non si adeguerà non avrà diritto né a varcare le soglie del teatro né ad avere un rimborso del biglietto.

“D’istè as zuga a bòci!” così sentenziava Arturo Toscanini, intendendo preservare il melodramma e la musica classica dalle interferenze estive. Aveva ragione anche se non credo si preoccupasse tanto del pubblico in ciabatte quanto delle messe in scena e delle esecuzioni approssimative ad uso turistico.

Di fronte alla rigorosa presa di posizione scaligera mi chiedo provocatoriamente: sono più censurabili gli abbigliamenti casual degli spettatori o gli acuti sparati dai cantanti alla viva il parroco, le ciabatte dei turisti o le ciabattone regie teatrali anticonformiste, disturbano più i trilli dei telefoni cellulari o i messaggi snob di scenografi e costumisti d’assalto?

“Ho un mio modo irrinunciabile di concepire la cultura. Prude. Sono del parere che fa cultura chi si gratta e non chi scrive un trattatelo “Sui vari modi di grattarsi”: così scriveva il mio indimenticabile amico Gian Piero Rubiconi, esperto musicale e operatore teatrale di altissimo livello.

Gian Piero collezionava dischi non per una malcelata bulimia filologica, ma per la sete inestinguibile di ascoltare, di raffrontare, di approfondire, di commuoversi. L’enorme patrimonio di incisioni e registrazioni dal vivo non lo teneva per sé, ma amava comunicarlo, metterlo a disposizione di tutti, soprattutto dei suoi giovani amici appassionati. I suoi “colleghi” collezionisti lo rimproveravano di essere troppo generoso e di non difendere a dovere il proprio patrimonio discografico, ma soprattutto quello delle preziose ed appetibili registrazioni “pirata”. Qualcuno minacciava di non fare più con lui scambi di materiale, dal momento che tale materiale veniva poi troppo divulgato. Una volta si sfogò e mi disse: «Capirai… se mi metto a fare il custode impenetrabile di nastri su cui sono incisi autentici pezzi di cultura. Se me li chiedono, glieli do volentieri: li ascoltano, discutono, si divertono. La cultura è scambio, esige di essere fatta circolare, non è strettamente riservata ad alcuno…». Da una parte aveva un alto e professionale concetto di arte, di cultura, quasi al limite dell’aristocratico, dall’altra prediligeva il senso popolare della cultura stessa, ne perseguiva la diffusione, amava divulgarla. Sane ed apparenti contraddizioni: competenza, preparazione, alta qualità per chi produce; massima apertura e disponibilità per chi fruisce. In effetti l’opera lirica ha proprio la caratteristica di essere la sintesi tra l’élite dei musicisti e degli interpreti e il vasto pubblico degli amatori. Chi non è capace di sintetizzare i due aspetti della cultura si chiude in uno splendido quanto inutile isolamento e cade nello snobismo di chi magari si scandalizza dell’entusiasmo per un acuto. Gian Piero non era certamente uno snob anche se viveva in un ambiente, quello teatrale, che ne è zeppo.

Torno polemicamente alle scenografie e regie d’avanguardia, alle messe in scena antitradizionali etc. etc. Mio padre era drasticamente contrario a queste innovazioni, era un autentico “matusa” in questo campo, anche se ammetto non avesse tutti i torti. Cito un episodio significativo in tal senso.

Nell’ultimo atto dell’opera Falstaff, la vicenda si svolge in una foresta e Sir John dice espressamente “ecco la quercia” per identificare il luogo dell’appuntamento. “Mo indò éla?” gridò mio padre dal loggione, dal momento che la scena non aveva neanche l’odore della quercia. Maleducato? Sì! Aveva ragione: almeno un po’, sì!

L’etimologia della parola “educazione” rimanda al latino “educatio” e, prima ancora, a “educere”, che significa “trarre fuori” o “condurre fuori”. Questo suggerisce che l’educazione non è tanto un’azione di riempimento di nozioni, quanto piuttosto un processo di sviluppo delle potenzialità insite nell’individuo, portandole alla luce.

Chi è più maleducato? Chi trasgredisce certe regole o chi non crea i presupposti alle regole? Chi si gratta o chi scrive un trattatelo “Sui vari modi di grattarsi”?