I maliziosi-volenterosi e la furbastra-svogliata

L’intervento da remoto di Giorgia Meloni è durato pochi minuti. Alla Coalizione dei Volenterosi, alla quale comunque l’Italia ha “aderito”, risultando tra i 26 Paesi che daranno un contributo, la premier ha ribadito e confermato la linea concordata anche con gli alleati di governo: Roma non manderà truppe in Ucraina, a maggior ragione alla luce dei dubbi della Germania, ancora con più convinzione dato che la medesima scelta la fanno alleati forti come la Polonia.

La presidente del Consiglio, recita la nota diffusa dopo il vertice e dopo il confronto dei leader con il presidente Usa Donald Trump, «ha nuovamente illustrato la proposta di un meccanismo difensivo di sicurezza collettiva ispirato all’articolo 5 del Trattato di Washington, quale elemento qualificante della componente politica delle garanzie di sicurezza per l’Ucraina». In realtà, a quanto risulta, solo la leader italiana ha accennato al meccanismo durante la riunione, anche se resta valido il “placet” di Trump durante la riunione di agosto a Washington. L’opzione resta in campo ed è la più valida, secondo Roma. In serata si dà anche notizia che nei prossimi giorni ci sarà un incontro tecnico a livello di consiglieri per la sicurezza per approfondire la via italiana.

Allo stesso tempo, Palazzo Chigi ribadisce «l’indisponibilità dell’Italia a inviare soldati in Ucraina», mentre nel suo breve intervento Meloni «ha confermato l’apertura a supportare un eventuale cessate il fuoco con iniziative di monitoraggio e formazione al di fuori dei confini ucraini». Rispetto alla postura assunta a Washington, Meloni durante il meeting di ieri è sembrata molto più “europea” sulla richiesta di un cessate il fuoco come condizione ineluttabile per parlare di pace. La parola «formazione» poi dovrebbe essere più pragmaticamente declinata come «addestramento». L’Italia pur non mettendo gli “stivali nel fango” nell’ambito delle garanzie di sicurezza svolgerà un ruolo, a quanto si apprende anche abbastanza cospicuo, per addestrare soldati ucraini e questo potrebbe accadere anche nelle basi italiane in cui sono disponibili gli armamenti più richiesti da Kiev, in particolare i Samp-T. L’azione di addestramento potrebbe valere – ma si è nel campo delle ipotesi – anche per i militari dei Paesi che invece decideranno di inviare truppe, e che potrebbero dover usare gli armamenti forniti dall’Italia per la difesa dell’Ucraina.

La nota riferisce anche la posizione di Meloni al successivo collegamento dei Volenterosi con Donald Trump. «È stato riaffermato – spiega Palazzo Chigi – il senso di unità nel ribadire l’obiettivo comune di una pace giusta e duratura per l’Ucraina», che può arrivare unendo «il continuo sostegno» a Kiev, «il perseguimento di una cessazione delle ostilità» e «il mantenimento della pressione collettiva sulla Russia, anche attraverso lo strumento delle sanzioni». Anche per Meloni, inoltre, le «solide e credibili garanzie di sicurezza» possono essere definite solo «in uno spirito di condivisione tra le due sponde dell’Atlantico», ovvero con un ruolo degli Usa. Secondo quanto si apprende, anche Giorgia Meloni avrebbe respinto l’idea di svolgere a Mosca negoziati per la pace. In questo contesto il governo prepara anche un nuovo pacchetto di aiuti militari all’Ucraina e, probabilmente, a rinnovare il “decreto-cornice” che giustifica gli invii. (dal quotidiano “Avvenire” – Marco Iasevoli)

Chiedo scusa per la lunga citazione mentre mi complimento con il giornalista che ha saputo mirabilmente sintetizzare il tira e molla meloniano in difesa dell’Ucraina.

La frase “Armiamoci e partite” non è attribuibile a una singola persona, ma è nata come espressione ironica e caricaturale per criticare la retorica interventista, e tra i primi a usarla fu il poeta Olindo Guerrini nel 1897 nella sua opera “Agli Eroissimi”. Sebbene sia stata spesso associata a Benito Mussolini per la sua foga interventista, la sua origine è precedente al suo coinvolgimento nella scena politica, e fu ripresa in seguito, anche nel Ventennio fascista, per deridere chi spinge agli altri azioni rischiose senza prenderne parte.

Sono partito dalla storia, che purtroppo si ripete, per arrivare all’attualità politica di Giorgia Meloni nel suo problematico e contraddittorio approccio alla guerra in Ucraina: si sta arrampicando sugli specchi dei volenterosi con le mani sporche di grasso trumpiano. Vuole rimanere legata al pur complicato carro europeo, senza però scontentare gli alleati di governo e soprattutto andando d’amore e d’accordo con Donald Trump: un autentico rompicapo.

Personalmente nutro molte perplessità sulla strategia interventista (?) europea: il ruolo della Ue non è quello di schierarsi bellicamente in favore dell’Ucraina, ma quello di favorire e operare coerenti e concrete iniziative diplomatiche di pace adottando tutti gli strumenti possibili e immaginabili per dissuadere gli invasori e sostenere gli invasi. Si doveva e si poteva fare ciò fin dall’inizio: si è preferita la scorciatoia bellica nascosta dietro la facciata della difesa ad oltranza del diritto internazionale, salvo violare tale diritto in situazioni analoghe (vedi Israele-Gaza-Palestina).

Tuttavia non si può entrare in questa logica bellica rimanendo a guardare gli altri, nascondendosi dietro autentici escamotage diplomatici: sì alla difesa dell’Ucraina, ma…, purché siano altri a combattere sul campo e purché non dispiaccia all’equilibrista Tajani, al falco/colomba Salvini e soprattutto all’onnipotente e imprescindibile Trump.

Questa è la ridicola quadratura meloniana del cerchio: un compromesso all’italiana tra interventismo e neutralismo, tra bellicismo e pacifismo, tra volenterosi e svogliati. Siamo, in conclusione, all’armiamoci e partite. Non sarebbe meglio: disarmiamoci e partiamo in cerca di pace pagando i giusti prezzi che la pace esige.

La fine della mia vita professionale è stata caratterizzata da un corto circuito per certi versi simile alla diatriba internazionale ucraina. Ero direttore e dopo avere ingaggiato una battaglia per l’autonomia dell’azienda in cui lavoravo, finita in un equo accordo con chi rivendicava un ruolo di primazia politico-amministrativa, mi trovai, ironia della sorte, alle prese con chi voleva invadere il mio campo, affiancandomi un vice-direttore a guardia della mia autonomia. Al candidato, peraltro un buonissimo e laborioso collega che si prestava a stupide manovre, proposi di fare carriera specializzandosi, a spese dell’azienda, in importanti materie professionali e lasciando perdere la vice-direzione, incarico non adatto alle sue capacità. Persi la partita e mi dimisi. Pagai il prezzo per non volermi piegare, ma senza fare la guerra, sventolando la bandiera della pace professionale, senza cercare inutili e dannose complicità ai più alti livelli. L’azienda, nonostante tutto, fu salva.

Se Zelensky, gli Usa e la Ue avessero adottato una strategia apparentemente rinunciataria, ma profondamente garantista contro l’invasore russo, forse non saremmo arrivati al punto in cui siamo: tutti dovevano rinunciare a qualcosa per la salvezza dell’Ucraina, invece… e adesso è molto tardi, anche se non è mai troppo tardi. Non sarà certo la Meloni a invertire la tendenza con le sue manovre diplomatiche da quattro soldi.