In questi giorni un caro e giovane amico mi ha regalato un libretto sui 100 pensieri tratti dagli scritti di Albino Luciani, sacerdote, vescovo e papa. Gli ho risposto come di seguito.
“Ti ringrazio del pensiero e dell’omaggio. Papa Luciani, che avevo inizialmente sottovalutato, mi è rimasto nella mente e nel cuore. Spero possa essere così anche per papa Prevost, anche se le attuali perplessità mi restano, non tanto sul suo conto, ma in merito al contesto e alle finalità della scelta operata in conclave.
Mia sorella aveva una sua paradossale e intrigante versione della morte di papa Luciani. Diceva: “Gli hanno fatto conoscere Paul Marcinkus e gli è dato un colpo…”. Non ho idea di cosa direbbe di Leone XIV: probabilmente, come me, sarebbe condizionata dalla straripante umanità di Bergoglio e dalla portata innovatrice del suo pontificato”.
I papi, almeno quelli di cui ho potuto osservare e apprezzare l’impostazione pastorale, hanno quasi tutti, oserei dire sistematicamente, contraddetto le intenzioni dei loro elettori: i cardinali sono alla ricerca di conferma se non addirittura di conservazione, mentre i papi sono portati al rinnovamento.
Fu così per Giovanni XXIII, eletto in quanto anziano e transitorio “bontempone”, che seppe aprire dialoghi impensabili col mondo comunista, che cambiò l’approccio della Chiesa al tema della pace, che ebbe il coraggio di convocare un Concilio Ecumenico per un fortissimo rinnovamento ecclesiale tuttora incompiuto.
Fu così per Paolo VI, scelto nel segno della continuità e di un ritorno alla normalità dopo il terremoto conciliare, che seppe impostare un’altissima, magisteriale e soffertissima azione di rapporti col mondo contemporaneo e di elevazione della vita ecclesiale.
Fu così per Giovanni Paolo I, un papa che doveva essere ostaggio di una curia invischiata negli affari, che invece seppe smascherare questa atroce realtà fino al punto di morirne di crepacuore.
Giovanni Paolo II, probabilmente eletto per contrastare finalmente il mondo comunista, diede una svolta totale andando in tutto il mondo a “mendicare” scelte evangeliche da tutti gli uomini di buona volontà.
Benedetto XVI, simbolo di una ritrovata e per certi versi nostalgica ansia identitaria, seppe andare ben oltre il rigore dottrinale per affrontare una Chiesa con enormi problemi di correttezza istituzionale e comunitaria e rimanerne sconvolto al punto da dimettersi.
Papa Francesco fu eletto per ridare fiato e credibilità ad una Chiesa compromessa e invischiata negli affari e nelle porcherie del mondo. Senonché, ad un certo punto, andò talmente forte sulla strada del cambiamento da preoccupare parte dell’establishment, che lo vedeva scappare di casa per andare incontro agli uomini e alle donne del nostro tempo. Troppo umano per essere accettato e assecondato.
Arriviamo a papa Prevost: continuità o svolta normalizzatrice? La continuità la vedo più a livello di facciata, mentre la normalizzazione la colgo in tante continue scelte di vario tipo. Colgo una sorta di respiro di sollievo rispetto alle provocatorie mosse di papa Francesco. L’altro giorno ho seguito in tv la messa domenicale, trasmessa da una rete Mediaset, ripresa dalla Casa generalizia delle suore figlie di Santa Maria di Leuca in Roma, che si è celebrata col silenziatore sociale, con un’omelia al cloroformio, in un clima liturgico triste, ingessato e clericalizzato, che oltretutto era in netta contraddizione rispetto alla portata evangelica dei brani contenuti nella liturgia della Parola (sono venuto a portare il fuoco, la spada, etc. etc.).
Mi sono chiesto maliziosamente: è questa la normalizzazione che in tanti aspettavano? È questa la Chiesa che non dà fastidio al potere? È questo il nuovo indirizzo pastorale che riporta la Chiesa in sagrestia? Domande provocatorie! Unità nel conformismo? Tradizione ritrovata, curia mezzo salvata? Un papa che piace un po’ a tutti, non piace a me! Non so bene spiegare il perché, ma sento puzza di bruciato, vale a dire di ritorno ad una Chiesa più istituzionale che umana, che fa finta di essere nel mondo, ma rischia di finire fuori dal mondo, quello di chi soffre.
Adottando una metafora politica per rendere l’idea, in una Chiesa forzosamente e schematicamente divisa tra destra e sinistra, non esiterei a collocare papa Prevost al centro: un centro moderato, che guarda a sinistra, ma rischia di essere funzionale alla destra.
Spero di sbagliarmi. Probabilmente sono condizionato, come detto sopra, dalla straripante umanità bergogliana, dal suo parlare alle coscienze, dal suo stile prettamente evangelico, dal suo andare oltre gli schemi, dal suo incontenibile approccio misericordioso.
Roberto Benigni, presente in una trasmissione Rai ai tempi della contrapposizione fra Prodi e Berlusconi, ebbe a dire furbescamente: io non mi schiero né per l’uno né per l’altro, dico solo che Berlusconi non mi piace. Provo ad imitare Benigni: non faccio una scelta aprioristica tra Bergoglio e Prevost, però Prevost non mi sfagiola troppo… Magari col tempo mi ricrederò…