Il soprammobile draghiano sulla metsola europea

Il discorso da Mario Draghi il 22 agosto al Meeting di Rimini ha generato molte attenzioni soprattutto per la nettezza con cui Draghi, ex presidente del Consiglio e della Banca centrale europea, ha denunciato i limiti politici dell’Unione Europea. «Per anni l’Unione Europea ha creduto che la dimensione economica con 450 milioni di consumatori portasse con sé potere geopolitico e potere nelle relazioni commerciali internazionali. Quest’anno sarà ricordato come l’anno in cui questa illusione è evaporata», ha detto Draghi nell’incipit del suo discorso, evidenziando la sostanziale irrilevanza dell’Unione sulle principali questioni internazionali, dalla guerra in Ucraina a quella a Gaza, e la sua debolezza nel confronto con altri grandi paesi, dagli Stati Uniti alla Cina. (da “il POST.it”)

L’analisi critica di Draghi sta diventando una forbita ma inconcludente tiritera. È pur vero che i rimproveri possono servire, purché non diventino delle paternali che lasciano il tempo che trovano. Mario Draghi è diventato un notabile, vale a dire un personaggio dotato di prestigio e autorevolezza, ma senza autorità, capace cioè in teoria di esercitare un’influenza, ma solo in senso puramente accademico.

Roberta Metsola condivide l’allarme di Mario Draghi: “La forza economica che è il soft power dell’Unione europea non è più sufficiente: lo status quo non può bastare. Noi siamo davanti a un bivio: o cambiamo o siamo destinati all’irrilevanza”, ammette dal palco del Meeting di Rimini. Tuttavia la presidente dell’Eurocamera fa capire di non aver apprezzato la frustata dell’ex premier di pochi giorni fa, dallo stesso palco, secondo cui l’Europa “è stata spettatrice”, nei negoziati di pace sull’Ucraina. “L’Unione europea – replica la presidente del Parlamento europeo – non è mai stata spettatrice e non lo deve diventare mai” e subito offre un chiaro esempio di un merito dell’Unione spesso ignorato: “Se Kiev è ancora libera – rivendica Metsola con un pizzico di orgoglio – è grazie all’intervento europeo”. Insomma, la leader popolare, da un lato accoglie lo stimolo a fare di più lanciato dall’ex presidente della Banca centrale europea, dall’altro però boccia il suo giudizio negativo nei confronti degli attuali vertici di Bruxelles. (da “ANSA.it”)

La presidente del Parlamento Europeo da una parte non può che essere d’accordo con Draghi, ma dall’altra deve pur difendere l’istituzione che rappresenta, enfatizzandone gli ipotetici virtuosi risultati.

“Méstor mi e méstor vu e la zana d’indò vala su?”  direbbe mia nonna (erano due ingegneri che si scambiavano complimenti, ma che si erano dimenticati l’uscio nella porcilaia). Troppi professori e pochi operai in un’Europa sempre più debole ed insignificante.

Non c’è nessuno che abbia l’autorevolezza dei fondatori, ma nemmeno l’umiltà di riscoprirne e svilupparne l’impostazione. I capi di governo, che rappresentano, in una evidente stortura istituzionale, le gambe su cui cammina la Ue, zoppicano in continuazione, non riescono a fare sintesi e si rifugiano in calcoli più o meno nazionalistici. I cittadini europei credono alla Ue come vacca da mungere, ma, quando si tratta di ragionare seriamente, diventano scettici se non addirittura contrari. Il Parlamento europeo è visto come un organismo inutile in quanto incapace di elaborare una politica comunitaria. I partiti sono la brutta copia di quelli nazionali: si fondano su “compromessoni” di tipo doroteo ben lontani dalle effettive necessità sovranazionali. Le idee e i valori traferiti nel contesto europeo perdono consistenza, si affievoliscono e cedono alla logica delle botteghe.

Gli schemi politici tradizionali, a livello europeo, servono a coprire una sostanziale e generalizzata conservazione o addirittura un’opzione reazionaria. Quando mia sorella andò, in rappresentanza del movimento femminile della Democrazia Cristiana, in visita alle istituzioni europee, tornò a casa estremamente delusa e, col suo solito atteggiamento tranchant, disse fuori dai denti: “Sono tutti dei mezzi fascisti!”. Credo che un po’ di ragione ce l’avesse. Penso volesse dire che non credevano in un’Europa aperta, solidale, progressista e partecipata, ma erano chiusi in una concezione conservatrice se non addirittura reazionaria. Può darsi che da allora la situazione sia addirittura peggiorata. Chissà cosa direbbe oggi alla luce del trumpismo, del populismo e del sovranismo. Lo immagino e non mi azzardo a scriverlo per non esagerare alle sue spalle.   Gli equilibri politici europei sono condizionati e costretti nella ricerca del male minore, vale a dire del più o meno conservatore, del più o meno reazionario, del più o meno fascista: il compromesso ipotizzabile ai livelli più bassi.

Nella stucchevole passerella del meeting di Rimini Mario Draghi e Roberta Metsola hanno consegnato il loro compitino. Intendiamoci bene, tra i due c’è una differenza abissale: il primo ha preparazione, esperienza e voce in capitolo; la seconda mi sembra una passata per caso a Strasburgo e investita di un ruolo eccessivo per le sue capacità. Uno pontifica a ragion veduta, l’altra non va oltre la scoperta dell’acqua calda. Viene spontaneo chiedersi: ma perché non mettono Draghi al posto di Metsola e non retrocedono Metsola a parlamentare di fila? È la politica, stupido!