Giuseppe Sala tira dritto. Nessun passo indietro, il sindaco di Milano resta in sella nonostante il terremoto provocato dalle inchieste sull’urbanistica nel capoluogo lombardo dove anche lui risulta tra gli indagati. Non si dimette e rilancia, con tanto di riferimenti – quasi spericolati – a Tangentopoli: “Non esiste una singola azione che possa essere attribuita a mio vantaggio, le mie mani sono pulite”, afferma nelle sue comunicazioni in Consiglio comunale dove lancia anche un altro messaggio: “Giustizia e politica devono occuparsi di ambiti diversi”. Subito dopo prende la parola il suo assessore alla Rigenerazione urbana Giancarlo Tancredi che annuncia, invece, di avere già rassegnato le dimissioni. “Giungo a questa decisione, profondamente sofferta, perché ritengo sia la migliore”, ha detto l’ormai ex assessore durante il suo intervento. La sua posizione nell’inchiesta è più complessa: per lui la Procura di Milano ha chiesto gli arresti domiciliari. “Oltre che amareggiato per questa inchiesta e per il lavoro che non potrò portare a termine, sono sconfortato e molto deluso per quella che in questi giorni è stata la posizione espressa da alcune forze di maggioranza di questa città”, afferma in un passaggio del suo discorso. Il riferimento è evidentemente al Pd che ha richiesto le sue dimissioni prendendo, invece, da subito le difese del sindaco Sala. Nelle dichiarazioni di Sala non c’è però nessun riferimento ai conflitti di interesse nel sistema dell’urbanistica milanese, questione centrale della maxi-indagine della Procura di Milano che oggi vede 74 indagati. (da “Il Fatto Quotidiano”)
Parto da un riferimento alla mia vita: ho sempre avuto un “debole” per le dimissioni allorquando avvertivo una certa qual mancanza di consenso nei miei confronti o se mi rendevo conto di qualche inadeguatezza personale rispetto alle esigenze della funzione ricoperta. Sono sempre stato malato di “dimissionismo” acuto: presunzione di perfezionismo? attitudine al disimpegno? ansia e conseguente fuga dalle responsabilità? Forse di tutto un po’… Fatto sta che non ho mai aspettato che qualcuno mi chiedesse di farmi da parte e ho sempre giocato d’anticipo.
In chi riveste funzioni politiche esiste la tendenza inversa, vale a dire quella di rimanere al proprio posto a dispetto dei santi. Non pretendo il dimissionismo, ma mi preoccupa il continuismo, anche se ammetto che forse nel caso del sindaco di Milano Giuseppe Sala non si tratti tanto di dare o meno le dimissioni, ma di fare un serio esame di coscienza per avviare possibilmente un cammino di conversione.
Conosco, per sentito dire, una persona che, quando affronta questioni politiche, chiede al suo interlocutore: «Ti sit äd sinistra?». Credo non sia una faziosa pregiudiziale ideologica, ma la necessità di capire la coscienza e la sensibilità politica della persona con cui ci si confronta.
Voglio arrivare al fatto che da un amministratore della cosa pubblica, che si colloca in area di sinistra, pretendo un comportamento diverso non tanto per la impossibile purezza quanto per la indispensabile tensione ideale. Questo vale a maggior ragione quando scricchiola il rapporto fiduciario con gli elettori: farsi da parte per operare una immediata e profonda verifica sarebbe più che opportuno.
Sono (quasi) sicuro che il sindaco Sala non si sia macchiato di corruzione o di altri reati nello svolgimento del suo importante e faticoso compito, ma vorrei capire se nelle sue scelte sia stato coerente con una visione progressista e aperta alle problematiche delle fasce sociali più deboli. La magistratura, volenti o nolenti, ha lanciato un sasso nella piccionaia della sua amministrazione e ciò impone una seria revisione della macchina, cosa che si può fare portandola in officina e non continuando a girare per le strade milanesi, seppure con prudenza e attenzione.
Ammetto di avere stima ed ammirazione per Giuseppe Sala al punto da inserirlo nel toto-presidente della Repubblica del dopo Mattarella: più di così…Proprio per questo mi permetto di esigere da lui un bel passo indietro, magari solo per prendere la rincorsa.
Oltre tutto si è dimesso un suo assessore nell’occhio del ciclone: cosa facciamo? una scarpa e una ciabatta? un disgustoso giochetto a nascondino? un distinguo così sottile da puzzare di strumentalismo e opportunismo di partito e/o di schieramento?
Mi sono già permesso di consigliare a Giuseppe Sala un riesame della sua sindacatura alla luce sfolgorante degli insegnamenti lapiriani: ribadisco la richiesta, allargando il discorso a tutta la politica. O chi si definisce di sinistra dimostra di esserlo veramente alla prova dei fatti, altrimenti finisce male con destra e sinistra per me pari sono. E qual è la prova del nove? L’atteggiamento di estrema e sofferta attenzione verso tutte le forme di povertà e fragilità che caratterizzano la nostra società.
Mi permetto quindi di copiare quella persona di cui sopra che pretende giustamente di fare i raggi ai suoi interlocutori e chiedo, in dialetto parmigiano (magari persino maccheronico), al sindaco di Milano: «Lu el äd sinistra? Alóra ch’äl m’la dimostra!».