Per Gaza si deve fare di più

«Cristo non è assente da Gaza. È lì, crocifisso nei feriti, sepolto sotto le macerie, presente in ogni gesto di misericordia, in ogni mano che consola, in ogni candela accesa nel buio». Sono parole enormi, quelle che il cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca latino di Gerusalemme, decide di usare nel corso della conferenza stampa convocata presso il Notre Dame Jerusalem Center, dopo la sua visita nella Striscia insieme al Patriarca ortodosso Teophilus III. 

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In mezzo a rovine e disperazione, la presenza dei cristiani è rimasta silenziosa ma tenace. «Abbiamo sentito ripetere da loro: ho una casa, ho un negozio in fondo alla strada – ha raccontato Pizzaballa -. Usano il tempo presente. È la lingua del trauma, ma anche della speranza che resiste». Il messaggio che i due patriarchi hanno portato alla stampa internazionale è chiaro: i cristiani sono a Gaza per restare, e saranno parte attiva nella futura riconciliazione, quando la guerra sarà finita. Ma la speranza non è cieca. Il cardinale ha lanciato un appello esplicito alla comunità internazionale: «Ciò che accade a Gaza è moralmente inaccettabile e ingiustificato. Occorre proteggere i civili, impedire punizioni collettive e lo spostamento forzato della popolazione. Si applichi la legge umanitaria. Si ponga fine a questa guerra».  (dal quotidiano “Avvenire” – Luca Foschi)

Ci si domanda scetticamente cosa serva andare sul posto delle tragedie se non a dare pietose, formali e superficiali solidarietà di maniera. Può succedere, ma non è detto. Mi risulta che papa Francesco telefonasse giornalmente al parroco di Gaza: “Con Francesco, le conversazioni erano quotidiane e qui, tutti, cristiani e musulmani, lo considerano un padre. Anche Leone, però, ci è vicino: con la sua preghiera e il suo lavoro per la pace. Quando si decideranno i leader ad ascoltarlo?”.

Mi sono chiesto ora come allora: si può fare di più? È sempre possibile fare di più! La Chiesa sta facendo tutto il possibile per aiutare i palestinesi? Come può convincere i governanti di Israele ad interrompere lo sterminio? Innanzitutto distinguerei la Chiesa in prima linea da quella del quartier generale vaticano. Bisognerebbe allargare la prima linea e restringere il quartier generale. Il cardinal Pizzaballa può essere considerato il trait d’union tra le due presenze. Allora perché nella scelta del nuovo papa ci si è accontentati di qualificare il comando generale e non si è avuto il coraggio di schierarsi concretamente a fianco delle popolazioni che soffrono? L’attivismo di Pizzaballa vuol essere un modo per colmare la lacuna?

“Lo scorso maggio, l’autorevole cardinale inglese Timothy Radcliffe è volato in Vaticano per partecipare al Conclave, che oggi descrive come «un’esperienza affascinante». I dettagli che si vedono nel film Il Conclave, rivela Radcliffe, «sono corretti, ma l’atmosfera è completamente diversa. Sai di stare facendo una scelta di grande responsabilità, ma si ride e si scherza insieme». E di cosa parlavano i cardinali riuniti nella cappella sistina? «La sfida maggiore era stata individuata da papa Francesco: tutti dovevano venire accolti, “Todos, todos, todos”, ripeteva sempre. Non importa cosa hai fatto, chi sei, qual è il tuo orientamento sessuale, questa è casa tua e dobbiamo ascoltarti», spiega Radcliffe.

Secondo il cardinale inglese, è anche per questo che la scelta è ricaduta su Prevost. «Con Leone», spiega l’ecclesiastico, «arriva un momento nuovo: dobbiamo proseguire quello che ha fatto Francesco, che però aveva spaventato alcuni, che devono potersi sentire a casa». Il nuovo pontefice, dice ancora Radcliffe, «è molto bravo a fare la pace, a costruirla. Ha il grande dono di riunire le persone, guarire le ferite, le tensioni. È molto umano». (da open.online)

Prendo atto con estremo piacere di questa versione di prima mano, però mi sia consentito “insinuare” come non sia bello che, mentre il Patriarca latino di Gerusalemme viaggia in mezzo a rovine e disperazione, papa Leone si riposi in quel di Castelgandolfo.  Papa Bergoglio, come scrisse Liliana Cavani, si defilò dal Palazzo per vivere in una casa normale. Questa scelta fu uno dei primi discorsi di papa Bergoglio, un fatto che pare abbia fatto arrossire alcuni cardinali e anche incavolare altri cardinali o prelati di rango.

So già che sarò accusato di demagogia pseudo-evangelica e post-bergogliana, ma la mia boccaccia religiosa non può starsene zitta. Di parole buone se ne sentono tante anche se spesso non di rottura, di opere un po’ meno. Non vorrei che ci fosse una sorta di delega ai cristiani della periferia palestinese per il “lavoro sporco” e finanche per ostentare le proprie vittime, mentre il papa e il Vaticano si riservano il lavoro diplomatico.

Il problema è che siamo in un mondo che ha riabilitato la guerra come strumento di risoluzione dei conflitti e le parole del Papa ci aiutano a non dimenticare la pace che è l’autentica soluzione dei problemi. Una grande figura come Yitzhak Rabin, poi ucciso, l’aveva immaginata per Israele e i palestinesi. Oggi, non solo ci troviamo in un conflitto con bombardamenti fuori da ogni logica, ma anche con una accresciuta, incredibile tensione in Terra Santa e in Medio Oriente. La mia è una speranza di pace, perché credo che sia ragionevole, che non ci siano alternative al convivere nella sicurezza, perché è scritto nella storia e nella geografia. La strada è lunga e ci vorrà uno sforzo convergente dei grandi attori internazionali. Ci troviamo in una situazione nuova, ad esempio, in Siria, di cui bisogna preservare l’integrità accanto al fragile Libano. Ringrazio il Papa perché non ha abbassato lo stendardo della pace. L’anno scorso abbiamo tenuto la nostra preghiera della pace nello spirito di Assisi a Parigi e abbiamo scelto il titolo “immaginare la pace”. Perché ormai quasi l’abbiamo dimenticata come vera soluzione del problema. (dall’intervista rilasciata da Andrea Riccardi, fondatore di Sant’Egidio, al quotidiano “Avvenire”)

Devo essere sincero: non mi bastano le parole del Papa, credo che soprattutto non bastino alle vittime del massacro in atto a Gaza. Con papa Francesco le parole avevano il sapore dell’empatia nei confronti dei poveri. Non la percepisco più. Oltre che demagogo sarò anche sentimentaloide.

Il problema però non riguarda soltanto il papa e le alte sfere vaticane: chi ha sentito durante le messe periferiche di questo periodo parole di pace compromettenti e non i soliti generici oranti bla-bla?

Mi sbaglierò, ma ho la sensazione di un applaudito ed auspicato ritorno alla cittadella del clericalismo che non punge ed ai suoi schemi: teniamo presente che il clericalismo ha fatto nascere la Chiesa in una botte per farla morire in un fiasco.