Il Senato ha approvato ieri la riforma costituzionale che introduce la separazione delle carriere dei magistrati, e lo ha fatto confermando il testo licenziato dalla Camera. I sì del centrodestra sono stati 106, i no di Pd, M5s e Avs sono stati 61 e le astensioni di Iv e Azione sono state 11. Si tratta di «un momento decisivo della legislatura» e non solo per questa riforma, come ha detto Maurizio Gasparri, ma perché questo secondo sì avvicina il referendum confermativo che inevitabilmente sarà un pronunciamento su tutto l’operato del governo Meloni. La premier si giocherà dunque l’osso del collo su una riforma non certo sua, e questo contribuisce a spiegare la sensazione di stranezza che si è respirata ieri a Palazzo Madama.
Il primo aspetto di stranezza è arrivato dalla stessa seduta, in cui i toni non sono stati così alti come lo scontro politico e anche pubblico su tale riforma faceva presumere. Finalmente si è visto in Aula il ministro Carlo Nordio, per la prima volta da quando questo ddl è arrivato a Palazzo Madama. Gli altri scranni del governo erano vuoti, con il solo ministro Luca Ciriani e il viceministro di Fi Francesco Paolo Sisto accanto al guardasigilli a rappresentare il governo per una riforma uscita dal Consiglio dei ministri e nemmeno sfiorata in una virgola dal Parlamento. Dopo l’approvazione Giorgia Meloni si è limitata ad un post sui social (seguito da un video), con parole di circostanza: L’approvazione «segna un passo importante verso un impegno che avevamo preso con gli italiani e che stiamo portando avanti con decisione. Il percorso non è ancora concluso, ma oggi confermiamo la nostra determinazione nel dare all’Italia un sistema giudiziario sempre più efficiente, equo e trasparente». Ma per avere «un sistema giudiziario più efficiente» bastavano leggi ordinarie sui nodi noti della giustizia, senza aprire una guerra civile che porta, come ha detto Dario Franceschini, «in terreni ignoti». Il ddl, infatti, prevede due Csm, uno per i magistrati giudicanti ed uno per quelli requirenti; ma questi ultimi, autogestiti, staccati dalla cultura giurisdizionale, «rischiano di diventare dei superpoliziotti». Rischio paventato anche da Alfredo Bazoli del Pd.
Tra le opposizioni Avs, con Peppe De Cristofaro, M5s, con Roberto Scarpinato e anche il Pd con Francesco Boccia temono un altro scenario: quello di una subordinazione al governo dei pm dell’intera magistratura, con la fine della separazione dei poteri. Questo attraverso le leggi attuative che potrebbero attenuare l’obbligatorietà dell’azione penale e attraverso l’Alta Corte disciplinare. Infatti il potere disciplinare verrà sottratto ai due Csm e verrà attribuito a una apposita Alta Corte. Nel ridisegnare il sistema disciplinare – è il timore delle opposizioni – il centrodestra potrebbe introdurre meccanismi ricattatori verso le toghe.
Non a caso al momento del voto sono scattate le proteste: i senatori del Pd hanno esposto il frontespizio della Costituzione capovolta, mentre M5s ha mostrato le foto di Falcone e Borsellino con la scritta «non nel loro nome». (da “Il Manifesto” – Kaspar Hauser)
Si ha l’impressione che dei contenuti veri della riforma costituzionale in discussione in Parlamento non si abbia piena consapevolezza e che tale riforma venga utilizzata e sbandierata solo come duplice pretesto per arrivare a una resa dei conti referendaria sull’operato del governo e per dare un eloquente avvertimento ai magistrati affinché si mettano in riga.
Dario Franceschini paventa un clima da guerra civile che porta in terreni ignoti: espressione a dir poco inquietante. Viene spontanea la domanda se la separazione delle carriere sia lo scopo o soltanto lo specchietto per le allodole a copertura di una ben più profonda ricollocazione costituzionale del potere giudiziario in linea con la revisione autocratica delle democrazie occidentali.
La Magistratura rischia di diventare il terreno di scontro politico fra destra e sinistra con i cittadini costretti a schierarsi nella guerra fra toghe e governo: un clima molto pericoloso!
Se da una parte non vedo sinceramente la portata reazionaria nella separazione delle carriere, temo tuttavia che si tratti del grimaldello per far saltare l’assetto costituzionale dei rapporti fra i poteri dello Stato.
Se temo una magistratura invadente e autoreferenziale, temo ancor più una magistratura condizionata dagli umori governativi o addirittura asservita al potere esecutivo.
Ho la negativa impressione che le scaramucce pregiudiziali siano già iniziate: da una parte il governo che armeggia contro i giudici, dall’altra parte i giudici che battono dei colpi di avvertimento verso l’intera classe politica sparando a casaccio (vedi indagini su sindaci e amministratori pubblici) o meglio sparando a destra per respingere gli assalti del nemico e a sinistra per sollecitare la discesa in campo dell’amico.
È questo ciò a cui fa riferimento Dario Franceschini? Se fosse così, l’unico antidoto sarebbe il presidente della Repubblica, il quale, dopo un messaggio ad hoc alle Camere e una presa di posizione nella sua qualità di presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, potrebbe addirittura minacciare il ricorso alle urne in una sorta di immediato referendum costituzionale confermativo: una sorta di “mortus” agli scriteriati belligeranti di regime e di “vivus” ai saggi difensori della democrazia.
E chi sono io per giudicare parlamento, governo e magistratura? E per suggerire iniziative al Capo dello Stato? Un semplice cittadino provocatoriamente ansioso di vivere in una autentica democrazia e che non ci sta ad assistere allo scempio della Costituzione.