Buttiamo le berrette cardinalizie oltre l’ostacolo

«Ogni giorno che passa appare sempre più chiaro che non esiste legge, la legge è il potere», dichiara all’assemblea il cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca latino di Gerusalemme, chiamato insieme all’ortodosso Teophilus III a riassumere il sentimento delle Chiese. Sono necessarie «unità, solidarietà, l’interesse attivo della diplomazia, della comunicazione, della comunità internazionale». Un appello ecumenico alla forza della parola, della presenza, contro l’oblio dove ogni cosa può accadere, anche un’accelerazione del lento, progressivo dissolvimento della comunità cristiana in Terra Santa. (da “Avvenire.it)

 

A voi che impugnate le leve del potere – governi in doppiopetto, consigli d’amministrazione oliati come ingranaggi, alleanze militari dalla voce di metallo – dico che il Vangelo non fa sconti né ammorbidisce la verità. Non domanda tessere, non pretende incenso: impone di riconoscere l’uomo quando lo si vede, di chiamare male ciò che schiaccia l’uomo. «Avevo fame e mi avete dato da mangiare, ero straniero e mi avete accolto» non è un soprammobile pio: è norma primaria scritta con il polso di Dio. Non esistono clausole, non c’è piè di pagina abbastanza piccolo per nascondere l’egoismo.

Se volete essere guida e non timone allo sbaraglio, fermate i convogli carichi di morte prima che varchino l’ultima dogana; smontate i macchinari che colano piombo e forgiatene aratri, tubature, banchi di scuola. Portate i bilanci di guerra sulla cattedra di un maestro stanco: trasformate milioni stanziati per missili in sale parto illuminate, ambulanze capaci di raggiungere finanche le sofferenze più remote.

E voi che sprofondate nelle poltrone rosse dei parlamenti, abbandonate dossier e grafici: attraversate, anche solo per un’ora, i corridoi spenti di un ospedale bombardato; odorate il gasolio dell’ultimo generatore; ascoltate il bip solitario di un respiratore sospeso tra vita e silenzio, e poi sussurrate – se ci riuscite – la locuzione «obiettivi strategici». (cardinale Domenico Battaglia su “Avvenire”)

Appelli così chiari e forti dovevano arrivare dalla gerarchia cattolica: due cardinali che hanno partecipato all’ultimo conclave. Saranno riusciti a scuotere l’inamidato consesso, brandendo provocatoriamente il Vangelo? Avranno infuso nella coscienza del nuovo Papa queste benefiche e sacrosante inquietudini? Avranno alzato la loro voce e sfoderate le loro spade per chiedere che la Chiesa sia veramente fermento di vera pace, che «non è la semplice distruzione delle armi e neppure l’equa distribuzione dei pani a tutti i commensali della terra, ma mangiare il proprio pane a tavola insieme con i fratelli nella convivialità delle differenze» (d. T. Bello, vescovo e profeta)?  Saranno riusciti a spiegare ai loro colleghi (i signori cardinali così burocraticamente definiti da papa Ratzinger) che la Chiesa si deve dare una mossa per recuperare il ritardo di duecento anni di cui parlava il cardinal Martini? Avranno chiarito che non basta affacciarsi alla loggia di S. Pietro e dire “Pace a voi”, ma occorre soffrire fino a morire assieme a chi soffre e muore per le guerre per poi risorgere e pronunciare credibilmente parole di pace? Avranno chiarito che il Papa non è all’interno della Chiesa il mediatore fra conservatori e progressisti, ma il “piantagrane” per antonomasia e il “provocatore” di vocazione come Gesù? Saranno riusciti a creare un asse tra i cardinali impegnati in prima linea sul fronte della radicalità evangelica in tema di pace? Avranno alla fine votato per Prevost convintamente o come male minore?

É stato rivolto a papa Leone un garbato ma pressante invito da parte di alcuni docenti universitari – Roberta De Monticelli, già docente alle Università di Ginevra e San Raffaele di Milano; Giacomo Costa, già docente all’Università di Pisa; Tommaso Greco, docente all’Università di Pisa; Sergio Massironi, docente all’Università Cattolica – pubblicato su “Il manifesto” e che riporto di seguito integralmente sentendomi di sottoscriverlo a piene mani.

Santo Padre,

credenti di tutte le fedi, e semplici persone senza altra fede che quella in ciò che è dovuto agli umani, oggi si stringono a lei nel ricordo delle parole con cui inaugurò il suo pontificato – l’augurio, rivolto ai vivi di tutta la terra, di una pace disarmata e disarmante. Lo fanno non solo guardando ai cattolici di Gaza, ma a tutti gli innocenti sterminati, menomati, privati di casa e cibo e scuola e memoria e futuro e speranza, nella striscia di Gaza dove le ruspe israeliane stanno da qualche giorno demolendo tutto quello che le bombe avevano risparmiato, e anche in Cisgiordania dove la violenza incontrollata dei coloni imperversa, assassinando impunemente chiunque, bruciando case e villaggi.

Abbiamo saputo che il Patriarca latino di Gerusalemme è entrato a Gaza con tutti gli aiuti che poteva portare. Ma molti di noi si chiedono: perché non ci va il papa, a Gaza, perché non leva la sua voce al cielo di Rafah, di Khan Yunis, di Gaza City, di Al Zaytun? Non sarebbe più grande l’aiuto che oggi ne verrebbe anche all’umanità intera sfigurata dallo sterminio inesorabile e quotidianamente documentato di un popolo già da tanto tempo privato della sua terra, della sua libertà e dignità?

Lei, Santo Padre, leverebbe la sua voce che per un miliardo e mezzo di persone in questo mondo è quella del vicario di Cristo – mite forse ma di pura fiamma: «Si addice alla Parola la temperatura del fuoco» (Mario Luzi).

Ma non solo i cattolici, non solo il mondo cristiano, non solo i fedeli di ogni religione: l’umanità intera oggi l’ascolterebbe, questa sua voce, supplicando che si levi più alta della vergogna dei potenti, che potrebbero impedire l’ecatombe e invece la sostengono, che potrebbero gridare basta e invece tacciono. Che affianchi la voce troppo flebile o violentemente tacitata dell’Onu. Che supplisca alla voce della nostra Europa, la quale oggi ha strappato le sue radici – non di sangue e terra ma di carta e ragioni universali, e tanto vilmente ha taciuto, e ancora tace. Che sopravanzi la voce delle sue Americhe, e soprattutto di quella di cui parla la lingua materna, e i cui attuali governanti corsero in San Pietro a renderle omaggio, a cercare una complicità che fu negata.

Abbiamo saputo che il premier israeliano l’ha personalmente invitata in Israele. È vero, l’uomo è oggi accusato di crimini di guerra dalla Corte Penale Internazionale, è vero, porta la responsabilità istituzionale che per la Corte Internazionale di Giustizia grava su Israele chiamato in giudizio con l’accusa di genocidio. Ma se fosse, questo invito dettato da ciniche strategie geopolitiche, la porta per entrare non in Israele ma in Gaza, lei potrebbe farsi guida delle persone, delle genti innumerevoli pronti a seguirla oltre quella soglia, a testimoniare per lei, ad accompagnare la sua voce con il nostro grido o in silenzio, come ci chiederà. Potrebbe, anche, recare conforto ai tanti giusti di Israele – e della diaspora – che non ci stanno, a questo «suicidio di Israele». Perché oggi Gaza è «porta dell’universo per i vivi» (Ibrahim Nasrallah, Maria di Gaza).

Io, però, in questa fase di delicato passaggio ecclesiale, preferisco stranamente rivolgermi a nuora (leggi cardinali in prima linea a livello territoriale e culturale) perché suocera (il Papa in vacanza a Castelgandolfo tra fuorvianti manifestazioni di giubilo) intenda. Ho scelto come miei interlocutori virtuali due cardinali: uno, Pizzaballa, credibile in quanto coinvolto per umana e religiosa vicinanza alle vittime della guerra; l’altro, Battaglia, (mai cognome fu così appropriato!), grintoso esponente della Chiesa dei poveri.

Una persona di mia indiretta conoscenza desiderava ardentemente poter parlare con un cardinale forse più per carpirgli i segreti vaticani che per scoprire le ansie ecclesiali. Come vorrei poter parlare con Pizzaballa e Battaglia per capire cosa è successo in conclave, perché più i giorni passano e meno ci vedo chiaro. Forse mi direbbero che il conclave è un passaggio importante ma non decisivo, mi inviterebbero a non fossilizzarmi sugli assetti gerarchici, che pagano il prezzo degli equilibri strutturali, ma a guardare in lungo e in largo alle spinte comunitarie, che rendono la Chiesa una irrinunciabile e imprescindibile “casta meretrix”. Forse mi incoraggerebbero a sentirmi artigiano di pace e a trovare il coraggio di compiere gesti concreti per costruire la pace (così come prega il cardinale Zuppi).

Ebbene, signori cardinali, dateci dei punti di appoggio per sollevare il mondo dalla deriva bellica in cui sta sprofondando! Solo voi potete farlo e vi supplico: fatelo! Se necessario trascinate papa Prevost fuori dagli equilibrismi vaticani e portatelo in prima linea. Sì, proprio come chiedono anche gli intellettuali di cui sopra.