La sicurezza neofascista

Al termine di un iter a ostacoli cominciato nel novembre 2023 e dopo essere stato trasformato da Ddl in decreto, diventa legge il provvedimento fortemente voluto dal governo in materia di sicurezza: 39 articoli che introducono 14 nuovi reati e nove aggravanti di delitti già esistenti, oltre a varare un nutrito pacchetto di tutele per le forze dell’ordine, ampliare i poteri dei servizi segreti (seppur in misura nettamente inferiore rispetto alla proposta originale) e vietare la produzione e la commercializzazione della cannabis light.

L’Aula del Senato ha approvato la fiducia chiesta dal Governo sul Dl che detta disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario. I voti a favore sono stati 109, i contrari 69, un astenuto. Il sì alla fiducia sul testo di 39 articoli già approvato dalla Camera costituisce il disco verde parlamentare definitivo sul provvedimento che doveva essere convertito in legge entro il 10 giugno. (ilsole24ore.com)

Non entro nel merito dei singoli reati introdotti o aggravati, mi rifaccio alla sostanziale filosofia di questo provvedimento.

Mio padre, tra il serio e il faceto, ipotizzava di risolvere il problema dell’evasione carceraria apponendo un cartello “chi scappa sarà ucciso”. La logica è quella di incutere paura pensando di rimuovere così i comportamenti trasgressivi. Sbagliatissimo da tutti i punti di vista.

Ma c’è molto di più nel cosiddetto decreto sicurezza: trasformare subdolamente lo stato di diritto in stato poliziesco. Come scrive MicroMega, non resta spazio per la critica né per il dissenso, il reato diventa politico e la politica diventa reato. “Il carcere è sempre stato e sempre sarà la febbre che rivela la malattia del corpo sociale”, scriveva Goliarda Sapienza in L’università di Rebibbia, in cui racconta il periodo della sua carcerazione (racconto al centro del film “Fuori” di Mario Martone, attualmente nelle sale): “Continuare a ignorarlo può portarci a ripetere il comportamento del buon cittadino tedesco che ebbe l’avventura di esistere nel non lontano regime nazista. Come sapevo, con poca spesa di ‘paura’ ho sentito la grande febbre di centinaia di individui eccezionali – politici e no – che solo perché dissentono nei modi che da sempre sono stati quelli primari di dissentire, vengono segregati”.

È in atto una revisione culturale prima che politica: un tempo si diceva “tutto è politica”, oggi si aggiunge “tutto è reato” e, facendo sintesi, si arriva a “tutti i reati sono politici e tutta la politica è reato”. E la democrazia va a farsi benedire…

Non so se sono servite le forti proteste a livello parlamentare, mediaticamente snobbate e ricondotte ad un ridicolo gioco delle parti. È curioso il dibattito politico: quando l’opposizione tace, ci si lamenta e si stigmatizza questo silenzio; se l’opposizione protesta vivacemente, esagera e sbaglia i toni. Allora come la mettiamo? Il problema è che la gente non capisce la gravità di quanto sta succedendo o forse preferisce cavarsela con un’alzata di spalle. Cade nel tranello “sicurezza”.

Pur ammettendo che mia sorella fosse troppo spietatamente realista nel giudicare gli italiani “ancora fascisti”, la cosa rimane vergognosamente attuale e imbarazzante, anche perché, tutto sommato, aveva ragione. La risposta plausibile a tanti problemi la trovo, pensate un po’, nella impietosa analisi che faceva lei riguardo alle magagne del popolo italiano: siamo rimasti fascisti con tutto quel che segue. Sosteneva che gli italiani sono affascinati dall’ «uomo forte». Lei lo diceva con la sua solita schiettezza e in modo poco aulico ed elegante, ma molto efficace: «Gli italiani sono rimasti fascisti». Se è così, il decreto sicurezza va benissimo e l’attuale governo pure.

Il mio impegno politico è storicamente fatto di sfide coraggiose al limite del paradosso, regolarmente perse in casa: militavo infatti nella Democrazia cristiana aderendo all’ala progressista, per la precisione alla corrente di matrice sindacal-aclista. Una gara dura anche se, per certi versi, affascinante. Ero segretario di sezione e durante un dibattito congressuale mi permisi di sostenere l’idea del disarmo della polizia nei conflitti di lavoro: era un periodo caldo a livello di protesta e contestazione studentesca e operaia. La mia provocatoria proposta, che peraltro faceva riferimento ad un disegno di legge, presentato in Parlamento da un esponente della sinistra D.C. (se non erro l’onorevole Foschi) e mai approvato, fece andare su tutte le furie alcuni iscritti, in particolare uno che gridò: “I canòn a la polisìa”. Fu la mia caporetto, da quel momento ebbi vita dura e in poco tempo mi spodestarono democraticamente (?) da segretario.

È detto tutto sulla mia ingenua ma radicale fede democratica, ma anche sulla storia che si ripete, sulle scorciatoie fascisteggianti che ritornano, sull’assoluta necessità di vigilare a salvaguardia della democrazia.

Non dimentichiamo che il fascismo, come tutti i regimi, rispondeva in modo demagogico e populistico al bisogno di ordine, scambiando il disordine con la protesta e viceversa.

Quando mia madre timidamente osava affermare che Mussolini, nonostante tutto, aveva fatto anche qualcosa di buono, mio padre non negava, ma riportava il male alla radice e quando la radice è malata c’è poco da fare.

Anche Giorgia Meloni può avere qualche ragione e fare qualcosa di buono, ma anche per lei il male sta nella concezione di fondo e allora c’è poco da sperare e molto da combattere.

Resistenza (nel cuore e  nel cervello) e Costituzione (alla mano), impongono oggi più che mai una scelta di campo imprescindibile e indiscutibile: sul fascismo nelle sue nuove sembianze non si può scherzare anche se qualcuno tra revisionismo, autocritiche, pacificazione e colpi di spugna rischia grosso, finendo col promuovere il discorso di chi vuole voltare pagina, non capendo che coi vuoti di memoria occorre stare molto e poi molto attenti e che (come direbbe mio padre) “in do s’ ghé ste a s’ ghe pól tornär “.