Ho seguito, più con curiosità che con partecipazione, lo svolgimento del conclave, tentando di dare un significato ad una ritualità che di senso ne ha poco o niente. Se vuole essere un segno tangibile di estraneità rispetto alla ritualità pagana, rischia di (s)cadere nella messa in scena fornita su un piatto d’argento al morboso tritacarne mediatico. Se vuole essere una dimostrazione di riservatezza, finisce col dare la stura ad una dietrologia incontenibile e rovinosa. Se vuole essere la concretizzazione dell’invito evangelico a non essere “del mondo”, arriva a inscenare una Chiesa fuori dal mondo per esservi in realtà dentro fino al collo.
Contraddizioni ed equivoci poco edificanti, confermati da una triste impressione: una sfilata di personaggi freddi, distaccati e preoccupa(n)ti. Come possa fare lo Spirito Santo a scovare un po’ di carisma su cui lavorare, lo sa soltanto la terza persona della Santissima Trinità. La morte di papa Francesco forse ha messo a nudo la carenza di leadership nella Chiesa, perfettamente in linea con la situazione della politica a livello internazionale.
La regola degli ottant’anni, inserita inspiegabilmente da Paolo VI, ha paradossalmente estromesso dal conclave tre cardinali carismatici: mi riferisco a Raniero Cantalamessa, Gianfranco Ravasi e Angelo Comastri. Il più lucido e convincente degli omileti, il più acculturato degli uomini di Chiesa, il più devoto dei prelati. Il primo ha consigliato o forse addirittura prescritto ai conclavisti una terapia d’urto, il secondo, a latere, ha dispensato alla gente garbate ma profonde pillole culturali, il terzo ha proposto di pregare con i suoi meravigliosi rosari. Quasi che teologia, cultura e preghiera fossero degli optional nelle procedure decisionali della gerarchia.
In questo desolante quadro extra-evangelico si sono consumate due reazioni in un certo senso uguali e contrarie: quella popolare in cerca di un mito da sostituire in fretta e furia a quello impropriamente e ingiustamente appioppato a papa Francesco; quella della politica interessata a sgombrare il campo dalle sacrosante provocazioni bergogliane, nascondendosi dietro le bigotte velleità di un ritorno all’etica dell’esclusione o addirittura della demonizzazione delle diversità.
In mezzo ci stanno il chiacchiericcio mediatico e lo sciocchezzaio giornalistico: la Chiesa è come la musica, o la si sente, la si vive e la si soffre oppure è meglio tacere.
Sotto la scorza del conclave ci sono tutti i problemi che non tarderanno a farsi sentire: papa Francesco era capace di ascoltare prima di pontificare e rassicurare. Dopo di lui temo il diluvio. Non ho infatti capito a quale logica geopolitica e/o ecclesiale risponda la scelta caduta su papa Prevost alias Leone XIV. Azzardo di seguito una serie di domande e di previsioni molto disincantate e piuttosto scettiche.
Il primo papa statunitense dovrà buttare la bomba religiosa fra i piedi di Trump? Si tratta del lancio di una sfida o di una mano tesa? Tutto mi aspettavo meno che un papa americano. I signori cardinali hanno inteso prendere Trump per le corna, strappandogli di mano i cattolici che lo hanno paradossalmente votato, i cosiddetti cattolici Maga alla Vance? Visto che il mondo ha perso il riferimento democratico statunitense, la Chiesa cattolica si candida a concedere un porto sicuro a cui approdare? Si è voluto provare a riconquistare il consenso dei cattolici bigotti che detestano l’ideologia di genere e i diritti Lgbtq+ e che sono in cerca di una reazionaria identità etica (discorso che vale per tutti i cattolici nostalgici del vuoto rigore morale a tutti i costi)?
Dal punto di vista ecclesiale si intende risolvere le positive (di)visioni, brandendo più il codice di diritto canonico che il Vangelo, sovrapponendo la Chiesa-istituzione alla Chiesa-comunità? Si sta cercando un ritorno alla normalità post-bergogliana, una sorta di pace sepolcrale sulle prospettive innovative e riformatrici? Si vuole offrire un ragionieristico volto rassicurante dopo che sono emersi tanti buchi nel bilancio della Chiesa? Si pensa di inaugurare una nuova stagione di certezze dogmatiche da spalmare come opportunistico balsamo sulla problematica vita di fede e carità? Che ne sarà della sinodalità, delle aperture ad una sessualità aperta e costruttiva, del celibato sacerdotale, del ruolo delle donne, dell’accoglienza alle diversità, dell’attenzione fattiva agli ultimi della pista?
La gente dopo avere tanto osannato papa Francesco desiderava una forte continuità con la sua impostazione pastorale: ebbene, ha venduto tutto per trenta denari di concertone papale, le basta un semplice “la pace sia con tutti voi” per sopportare una probabilissima impostazione assai lontana dalla provocatoria logica bergogliana.
A proposito di continuità risulta patetico il tentativo di collocare Prevost in continuità con Bergoglio: a partire dagli atteggiamenti e dai comportamenti iniziali non si direbbe che ci sia quella continuità auspicata, sbandierata, ma sotto-sotto comodamente e sostanzialmente liquidata. Non è giusto fare della dietrologia, ma sembra che della candidatura di Prevost siano stati protagonisti i cardinali statunitensi e africani, in contrapposizione a quella di Parolin sostenuta da italiani ed europei, con gli asiatici in attesa di posizionarsi. Parolin si sarebbe ritirato per timore di creare grosse spaccature: parte dei suoi potenziali elettori e gli asiatici si sarebbero spostati su Prevost, preferito comunque dai tradizionalisti rispetto ad un incontrollabile outsider emergente in un conclave bloccato. Pur essendo vero che la storia insegna come i papi, una volta eletti si sgancino dai condizionamenti dei loro grandi elettori, tuttavia Prevost sarebbe stato proposto soprattutto dalle correnti cardinalizie notoriamente e pervicacemente ostili a papa Francesco: statunitensi e africani. Alla faccia della continuità…
Si sarebbe ripetuto quanto successe nel conclave del 2005 allorché il cardinal Martini rinunciò alla sua candidatura e a quella di Bergoglio in favore di Ratzinger per non spaccare la Chiesa e sulla base di un accordo, che poi venne col tempo ampiamente disatteso da Benedetto XVI. La differenza qualitativa dei personaggi allora in lizza rispetto a quelli del conclave appena celebrato è notevole, ma le logiche sono simili. Se non riuscì il cardinal Martini a condizionare un papato di restaurazione, immaginiamo se ci potrà riuscire Parolin, a meno che lo Spirito Santo…
Staremo comunque a vedere. Non desideravo l’assurda fotocopia di Francesco, ma nemmeno la brutta copia di Ratzinger. Speravo nella decisa prosecuzione di una strada, temo invece pericolose pause, deviazioni se non addirittura inversioni di rotta.
La politica, a tutti i livelli, tira un sospiro di sollievo e si lancia nel mettere il proprio cappello sulla testa del nuovo papa: ce n’è per tutti i gusti…Difficile era prendere la misura a Bergoglio, non so come finirà con Prevost. Sento odor di sagrestia e di politici che vanno in chiesa per confabulare coi preti e carpirne strumentali appoggi.
Temo che sia arrivata una fumata grigia e pensare che io sognavo una fumata rosa: la riscossa delle donne, stanche di annunciare il “Risorto” ad una Chiesa maschilisticamente chiusa e vogliose di scaravoltare qualche cattedra piuttosto ingombrante.
Al momento non mi rimane che rifugiarmi sotto la tonaca di papa Francesco, assieme ad una suora che non vuole imbalsamarne l’esempio.
Madre Maria Ignazia Angelini offre una chiave per leggere questo momento storico per la Chiesa: il Conclave chiamato a scegliere il successore di Pietro. Monaca benedettina e teologa, nata a Pesaro 81 anni fa, ha guidato per oltre ventidue anni come abbadessa la Comunità di Viboldone, appena fuori Milano. E, ora, nella stessa Abbazia, riceve chiunque abbia necessità di conforto e consolazione, di condividere un tempo di afflizione o di gioia, di sentire una parola amica. Alla religiosa, insieme al domenicano Timothy Radcliffe, è stata affidata la realizzazione delle meditazioni che hanno introdotto le varie sessioni generali delle due Assemblee sulla Sinodalità.
Un suo ricordo personale?
Un episodio piccolo – cinguettio tra le gravi parole del Sinodo – ma rivelatore. Al termine di una mia riflessione all’inizio di una Congregazione generale, mi si è avvicinato e mi ha detto: “Grazie, mi hanno fatto bene le tue parole, mi hai fatto capire cose cui mai avevo pensato”. Io? Possibile? Ero cosciente di aver semplicemente proposto la meditazione sulla parola evangelica del giorno. Ma l’immediatezza disarmante di questo apprezzamento mi ha profondamente colpito. E subito dopo mi ha domandato se avevo un desiderio. Gli ho raccontato di una mamma che aveva appena perso il figlio unico in un incidente stradale: l’ho raccomandata alla sua preghiera. Mi ha chiesto il nome e il contatto, e immediatamente – lì, in Aula – l’ha chiamata… Lascio immaginare. Ne sono rimasta tanto commossa fino a nascondermi, in lacrime. (da “Avvenire” – intervista a cura di Lucia Capuzzi)
La storica sera, in cui papa Francesco, appena eletto, si presentò, con atteggiamenti e simbologie rivoluzionari, sulla balconata di S. Pietro, ero davanti al video in compagnia di mia sorella Lucia. Eravamo entrambi convinti che fosse successo qualcosa di grande per la Chiesa cattolica. Quella volta lo Spirito Santo era arrivato in tempo. Ero talmente commosso da non riuscire a trattenere le lacrime. Ritorno a quel momento: si vive anche di ricordi, in attesa che lo Spirito Santo batta un colpo cavando Vangelo dai buchi della Chiesa. Riuscirò a sentirlo e a capirlo?
Rifiuto comunque l’ansia di ubbidire supinamente alla gerarchia, al papa, ai vescovi e ai sacerdoti: lo Spirito Santo, in cui credo, opera e soffia (anche in me) ben al di fuori degli schemi. Al riguardo papa Francesco diceva: «Per favore, che nelle vostre comunità mai ci sia indifferenza. Comportatevi da uomini. Se sorgono discussioni o diversità di opinioni, non vi preoccupate, meglio il calore della discussione che la freddezza dell’indifferenza, vero sepolcro della carità fraterna».
Una cosa è certa, la delusione in me è fortissima, ho preso una secchiata gelata sul mio senso di appartenenza alla Chiesa. Mi prendo una pausa di riflessione. Dal momento che il buon (?) giorno si vede dal mattino, posso, al momento, concludere così: finora mi consideravo un cattolico borderline, con Prevost papa mi sento un cattolico offside.