Il sesso degli angoli

«Per questo non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante». Per Papa Francesco sarebbe quindi una restrizione moralmente problematica affermare in modo automatico che una persona divorziata e risposta vive in stato di peccato mortale, unicamente a partire dal fatto che essa si trova in una situazione che non corrisponde a una norma della Chiesa.

Già il Vaticano II aveva detto che la sessualità deve prendere una forma veramente umana, cioè “da persona a persona”, superando, quindi, una finalità strettamente naturalistica che permea la sessualità. Perciò proseguire sulla scia del Concilio in un approccio decisamente personalistico, come fa Amoris laetitia, non ha a che vedere con il fatto che si rinuncerebbe a definire ciò che è lecito o non lecito fare. Solo che con l’insegnamento del Concilio e di Papa Francesco il criterio è cambiato. La base delle istanze morali incondizionate non è più costituita dall’ordine funzionale della natura, ma da un ordine personale di ricerca del senso. Ciò che non è lecito, ha a che fare con tutto ciò che lede la dignità delle persone, offende i loro diritti e ferisce la fioritura delle loro relazioni.

Ecco la grande eredità che papa Francesco, con Amoris laetitia, lascia alla teologia morale ma anche al magistero del futuro pontefice. Evitando di credere che tutte le questioni teologiche legate al matrimonio, alla coppia e all’amore siano chiuse e risolte una volta per sempre, in un ordine morale oggettivo, al quale al massimo si possono applicare accomodazioni pastorali più morbide, egli ci offre spunti preziosi per continuare la ricerca e avanzare sulla via della comprensione della dottrina morale che tenga il suo centro gravitazionale sulla sacralità della persona. E questo apre senza dubbio a nuove speranze!

(dal quotidiano “Avvenire” – Antonio Autiero, teologo e professore emerito di teologia morale all’Università di Münster)

Anche e soprattutto su questo piano andrà misurata la continuità di papa Prevost! L’impostazione teologica bergogliana, emergente dalla Amoris laetitia, non è compatibile con i bigotti desiderata di un certo cardinalato e di un certo cattolicesimo, che auspicano un ritorno alla rigidità non a favore delle persone portatrici di problemi ma contro queste persone, in nome di un ordine naturale, sulla base di una reazionaria identità etica piena di pregiudizi ideologici e vuota di carità cristiana.

Nella mia povera e peccaminosa vita sessuale e sentimentale mi sono posto il limite del rispetto non tanto delle regole astratte, ma delle persone concrete. Ecco perché ho visto con tanto interesse le aperture, peraltro fin troppo prudenti, della pastorale bergogliana, che sintetizzo plasticamente nel “chi sono io per giudicare un omosessuale che cerca di vivere seriamente la sua condizione?”. E vale non solo per gli omosessuali.

Speravo che il conclave desse un segnale di continuità e di ulteriore sviluppo di certe impostazioni aperturiste anche e non solo nel campo della sessualità. Non si tratta di adottare lo schema progressisti-conservatori, ma c’erano fra i papabili alcuni cardinali che potevano rispondere abbastanza chiaramente a queste attese. Si è preferita una furba e comoda scelta rassicurante.

Al momento i segnali sono quindi piuttosto contrari. Si tratta solo di segnali!? Saprà il nuovo papa resistere alle ansie restauratrici emergenti da un certo mondo cattolico, i cui rappresentanti gerarchici sembrano averlo più o meno apertamente opzionato?

Il carissimo e indimenticabile amico don Luciano Scaccaglia, nelle sue ultime omelie, mettendo in contrasto la misericordia di Gesù con il moralismo della Chiesa, diceva: «Una cosa è certa: con Gesù è la fine della contrapposizione netta tra buoni e cattivi, è la fine “delle evidenze morali e dei concetti chiari e ferrei”, è la fine dei pregiudizi, a causa dei quali noi sappiamo sempre cosa occorre fare, però nella vita degli altri. Una cosa è certa: la severità della Chiesa, le sue rigide leggi pastorali, liturgiche, sacramentali verso i “diversi”, le coppie di fatto, o persone in difficoltà, o matrimoni in crisi, non aiutano né testimoniano la misericordia di Gesù; non fanno maturare, ma umiliano». E ancora, chiarendo come le distinzioni sessuali non vengono da Dio, sosteneva: «Dio ama tutti, tutte le persone e non guarda alla tendenza sessuale. Noi invece facciamo distinzione e alziamo steccati, laddove non è presente la misericordia di Dio, ma il nostro giudizio severo… Una parte della Chiesa, forte della difesa del matrimonio e della famiglia fatta giustamente da Francesco, veste i panni dei crociati e non ha stima, anzi, rifiuta le unioni civili. Certe iniziative vanno in questo senso: difendono la famiglia, il matrimonio, ma condannano altre forme ed espressioni dell’amore. Strani questi cristiani, questi vescovi, discriminanti e penalizzanti, che pensano di parlare a nome di Dio e di Gesù».