Il mercato del lavoro secondo Pirandello

La situazione del lavoro dipendente nel nostro Paese è molto discussa: le versioni sono molto contrastanti al limite del “così è se vi pare” di Luigi Pirandello. Non mi sento in grado di entrare in questa importantissima materia e mi voglio soffermare soltanto sull’aspetto che mi sembra il più clamorosamente distorsivo e ingiusto: manca cioè un salario minimo per i lavoratori dipendenti, in mancanza del quale si consentono remunerazioni a dir poco inique.

Molti contratti di lavoro sfuggono sostanzialmente ad un serio vaglio sindacale e alla contrattazione collettiva, giustificati da un sistema di appalti fuori da regole quanto meno razionali e dalla debolezza contrattuale di soggetti disposti ad accettare condizioni molto sfavorevoli pur di avere un posto di lavoro (un ricatto bello e buono): nella jungla retributiva c’è posto per stipendi da fame per milioni di lavoratori peraltro impiegati in settori delicati come ad esempio i servizi alla persona.

Il governo rilancia la palla ai sindacati non volendosi intromettere nei rapporti di lavoro e facendo finta di non capire che la sindacalizzazione del mercato lascia scoperte ampie fasce di lavoratori non iscritti al sindacato o iscritti a qualche sindacato di comodo. Ai datori di lavoro, pubblici o privati, tutto sommato va bene così, anche se alla fine il sistema finisce col danneggiare qualitativamente gli operatori e gli utenti dei servizi e i vantaggi microeconomici ritornano a galla come danni macroeconomici.

La fissazione di un minimo salariale di cui si parla da diverso tempo non trova sbocchi legislativi. Dovrebbe essere una delle battaglie identitarie della sinistra, che su di essa dovrebbe concentrare i propri sforzi ed avviare la mobilitazione di cui è ancora capace. Anche il sindacato dovrebbe uscire dalle sue tentazioni corporative per dare assoluta priorità a questi lavoratori senza difesa e senza autonoma capacità di lotta (uso volutamente un termine forse anacronistico che però rende l’idea).

Non vedo a livello parlamentare uno sforzo pressante dei partiti di sinistra, qualcuno è addirittura scettico su un intervento che giudica di stampo burocraticamente pseudo-comunista. Mentre la politica si arrovella nelle pozzanghere ideologiche, mentre i sindacati gridano ma non agiscono fino in fondo, preferendo accontentare le loro basi a livello settoriale, mentre gli esperti litigano sul significato dei dati emergenti dal mercato del lavoro, troppe persone sono costrette come si suol dire a “berla da bótte”. Viaggiano remunerazioni orarie ridicole: e pensare che l’Italia dovrebbe essere una repubblica democratica fondata sul lavoro. Non voglio fare il demagogo, ma forse in parte (e non solo per la mancanza di un salario minimo) è fondata sullo sfruttamento del lavoro.

Se su diversi aspetti del mercato del lavoro si può tentare di spaccare il cappello in quattro per negare l’evidenza, rimanendo nelle metafore pirandelliana, istituendo il salario minimo si passerebbe per la politica dal “così è se vi pare” di subdola copertura al “berretto a sonagli” di pubblico scorno.