Le fiches di Bergoglio alla roulette evangelica

Era stato tanto l’entusiasmo con cui avevo accolto l’elezione di papa Francesco, tanta l’aspettativa innovatrice che si era creata in me, da rimanere poi talora deluso.

La spiegazione è sintetizzabile nell’esclusiva puntata di Bergoglio sullo spirito evangelico a scapito del rinnovamento strutturale. La delusione dipendeva peraltro anche da un mio relativo errore, tendente a prescindere dal fatto che alla Chiesa non sono applicabili criteri di carattere politico. Se infatti discutibile è impostare e giudicare l’azione politica sull’andamento del PIL (prodotto interno lordo), immaginiamoci pensare di valutare l’azione pastorale di un papa sul PVN (prodotto vaticano netto).

Dei predecessori di papa Francesco ho una mia originale idea riguardo al loro atteggiamento verso la Curia e gli intrighi vaticani: Paolo VI soffriva, si macerava e poi si arrendeva all’impossibilità del cambiamento; Giovanni Paolo I somatizzò il dramma al punto da morirne in pochi giorni; Giovanni Paolo II se ne fregò altamente, andò per la sua strada, si illuse di cavare anche un po’ di sangue dalle rape; Benedetto XVI ci rimase dentro alla grande e gettò opportunamente la spugna.

Papa Francesco ha puntato tutte le sue fiches sul Vangelo e sulla coscienza delle persone: a giudicare dalle reazioni della gente comune alla sua morte si può pensare che abbia centrato l’obiettivo. Mentre le solite, scontate sbrodolate politiche lasciano il tempo che trovano, mentre le  preconfezionate risonanze mediatiche sono elogiativamente fuorvianti, mentre le gerarchie cattoliche ovattano i contrasti pur esistenti e piuttosto trasparenti per mero amor di conservazione del potere, i commenti a caldo della base di credenti e non credenti lasciano intravedere una profonda sintonia  che non mancherà di lasciare il segno nei cuori e negli animi: la scelta in favore dei poveri, la proclamazione della oltranzistica misericordia divina, la radicale e inesauribile spinta verso la pace hanno fatto breccia nella gente, facendo di papa Francesco l’unico punto di riferimento credibile a livello popolare e mondiale.

La reazione non è stata connotata dal fanatismo del “santo subito” come avvenne per papa Woytila, né dal rigurgito identitario come dopo la morte di papa Ratzinger, ma da un semplice quanto profondo senso di assonanza col papa forse più umano e sensibile della storia.

E la Chiesa-istituzione dove andrà: restano aperti molti fronti problematici, che sono stati a volte solo sfiorati dal pontificato francescano. Prevarrà evangelicamente e finalmente la Chiesa-comunità? Lo Spirito Santo arriverà in tempo utile o sarà spiazzato dai signori cardinali?

Quando constato come tanti papi siano diventati o stiano diventando Santi, mi viene qualche dubbio. Pur con tutto il rispetto, temo che nell’aldilà troveremo parecchie novità, riguardo alla nostra vita e a quella della Chiesa. Di Francesco sugli altari c’è già quello d’Assisi, ragion per cui tendo a non mettere Francesco nel calendario, ma a piazzarlo vicino a me e al cuore della gente che se ne frega altamente degli altari e desidererebbe tanto scoprire gli altarini.

Papa Francesco esortava sempre tutti a pregare per lui: non era il solito modo bigotto di scantonare dalla concretezza dei problemi, ma un modo di chiedere aiuto a chi crede e di intrecciare rapporti con tutti, partendo dalla consapevolezza dei propri limiti e difetti.

Il cardinale Carlo Maria Martini nell’ultimo colloquio avuto con Eugenio Scalfari, giornalista scrittore ed amico, gli promise che avrebbe pregato per lui, al che Scalfari, non credente, rispose che avrebbe pensato all’amico morente intendendo esprimergli così la sua vicinanza. Il cardinale lo fulminò positivamente con una secca, stupenda, dolce e provocatoria battuta: «È la stessa cosa!».

Papa Francesco pregherà per noi tutti e, sono sicuro che in tanti continueranno a pregare con lui o, quanto meno, lo ricorderanno con enorme e fattiva gratitudine.