La versione farsesca della pace

Un Silvio Berlusconi sorridente la raccontò di fronte a una platea divertita: “Il Cavaliere muore e, sulla base delle cronache dell’Unità, finisce all’inferno dove non funziona nulla. Aggiusta le cose e sale al Purgatorio dove risolve altri problemi. Arriva così in Paradiso dove però i cherubini litigano. A questo punto arriva il colloquio con il Padreterno che, però, al posto di quindici minuti dura tre ore. Al termine Berlusconi esce con la mano sulla spalla di Dio. Che esclama: Carina l’idea sul Paradiso SpA. Ma c’è una cosa che non ho capito: perché io dovrei fare il vicepresidente?”.

Ebbene Donald Trump la barzelletta non l’ha raccontata, ma l’ha vissuta in diretta ai funerali di papa Francesco. In debito di protagonismo rispetto a Bergoglio, ha voluto salire sul palcoscenico proponendo un curioso siparietto con Zelensky. La politica si è ripresa la scena, è riuscita a disturbare Bergoglio anche dopo la sua morte, mettendo in gioco due personaggi che, fra l’altro non avevano un gran feeling col papa: Zelensky lo voleva faziosamente e pregiudizialmente schierato a suo favore, Trump era una sorta di antipapa più laido che laico. E adesso…

Assediati dalla vasta penombra, sorvegliati dalle incombenti architetture che fanno sembrare piccoli i cosiddetti “grandi”, tra la Porta Santa e la Pietà di Michelangelo il presidente ucraino e quello americano finalmente si ritrovano. L’uno sporto di fronte all’altro, senza interpreti né consiglieri. Per quindici minuti non sono più Trump e Zelensky, ma Donald e Volodymyr. (Nello Scavo su “Avvenire”)

Il resto è fantapolitica e, in prospettiva, fantastoria. Mi stupisce il clamore suscitato da questa autentica buffonata dal sapore quasi blasfemo. D’altra parte non ho mai letto e ascoltato un cumulo di sciocchezze politichesi paragonabile a quello snocciolato dai media in occasione del funerale di Bergoglio e in vista del conclave (si sta superando ogni limite di decenza e buongusto).

Mi stupisce però ancor più che i responsabili della Basilica di S. Pietro si siano prestati a questa manfrina, consentendo una simile farsesca intromissione, pensando magari di proporre in diretta un (quasi) miracolo. Anziché “Santo subito!”, “Pace subito!”. Magari! Speriamo che il tutto non rientri in un delirante dopo-Francesco.

Mia madre avrebbe sentenziato: “Chi vàgon a tôr in gir quälcdòn ätor, miga al Sgnôr…”.

La pace non può dipendere da queste vergognose trappole mediatiche. «Pace: parola viva che oggi muore nelle ipocrisie, nelle case distrutte, negli ospedali bombardati, nelle file infinite per l’acqua sporca nella tanica, nelle pozzanghere di fango dove i bambini riescono ancora a vedere il cielo» (padre Ermes Ronchi).

Forse papa Francesco, fresco di arrivo in Paradiso, si sarà umilmente rivolto a Dio dicendo: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”.