Lo zoccolo duro dei valori condivisi

Il volto paonazzo, la postura aggressiva, le parole come pietre. Nulla di nuovo, purtroppo. Togliete Donald Trump dallo studio ovale mentre si scaglia contro Volodymyr Zelensky. Mettetelo in un’arena per comizi tra la folla osannante, in chiesa mentre ascolta le suppliche umanitarie di una donna vescovo o in un video creato dall’intelligenza artificiale nel quale prende il sole lungo la Striscia di Gaza insieme all’amico Benjamin Netanyahu. Sarà sempre lo stesso Trump, quello che da 40 giorni vuole sconvolgere il mondo. «C’è un nuovo sceriffo in città» direbbe J.D. Vance, il suo vice pronto ad aizzarlo e a blandirlo come ha fatto venerdì a Washington scatenando lo sdegno del leader ucraino. «Non fa nulla per correggersi, nulla per aderire alla missione pubblica che gli è stata affidata per la seconda volta dai cittadini americani» spiega Mario Morcellini, professore emerito di comunicazione all’Università La Sapienza di Roma. L’uomo più potente al mondo «fa di tutto per scuotere dalle sue spalle i pesi gravosi dell’incarico, moltiplicando all’infinito il suo istinto bestiale».
È la prova che la comunicazione politica è finita, perché è diventata tutto e il contrario di tutto. Un’arma potente da usare, ma anche un boomerang. «Siamo davvero alla regressione morale, alla secessione delle nostre certezze» ribadisce lo studioso quando gli si chiede se e come sopravvivremo a questo magma verbale, in cui escono ammiccamenti, paranoie, battute. «Donald Trump sta infliggendo alla coscienza pubblica occidentale una serie di colpi senza precedenti. Lavora sulle nostre percezioni e sulla nostra anima, provocando in noi un male oscuro, quasi psicologico».

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Di questo passo, chissà quando misureremo i danni di questa sovreccitazione. «Alla fine resterà in piedi solo chi deciderà di non entrare in questo gioco perverso: chi non si servirà solo di una comunicazione fatta di punti esclamativi, ma anche di frasi più complesse, che prevedono soggetti, verbi e persino il congiuntivo» argomenta Morcellini. È l’unica buona notizia per l’Europa e per quella parte di Occidente che oggi è sgomenta: restare capaci di un pensiero e di una visione forse ci salverà. (Dal quotidiano “Avvenire” – Diego Motta)

In un simile disarmante contesto fanno sorridere le domande su cosa ne pensi Giorgia Meloni: è il personaggio totalmente incapace di un pensiero e di una visione; non aspettiamoci niente se non l’invito a rassegnarsi opportunisticamente. Gli altri leader europei, bene o male, stanno impostando una reazione, anche se ne vediamo i limiti. La risposta non può essere calata dall’alto della politica, ma salire dal basso della coscienza popolare. Anche i migliori commentatori stanno balbettando, le loro categorie di analisi non reggono.

Non è un caso se sto rinunciando all’ascolto dei dibattiti televisivi, anche i più seri e impegnati, per ripiegare sul dialogo interpersonale, che faccia rifermento alle esperienze concrete di vita democratica. C’è il rischio della nostalgia: a volte serve più la nostalgia che costringe a ripartire dallo zoccolo duro dei valori condivisi, piuttosto che andare in cerca di traballanti risposte nuove.

A livello europeo stiamo cadendo nella trappola: cerchiamo risposte comuni nel riarmo, nei riti pseudo-diplomatici, nei vuoti tatticismi. È cambiato il mondo, dobbiamo scendere per ripartire da un bastimento carico di…