La Chiesa celebra ogni anno, nell’ultima domenica di settembre, la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, una tradizione iniziata nel 1914 e giunta quest’anno alla sua 110ª edizione. Questa giornata rappresenta un’occasione significativa per esprimere vicinanza e solidarietà a tutte quelle persone che, per molteplici ragioni, sono costrette a spostarsi e a vivere in condizioni di vulnerabilità.
L’occasione è propizia per tornare su un fatto che sarà certamente sfuggito a molti anche perché fortemente provocatorio rispetto all’approccio e all’andazzo meramente “difensivi” adottati riguardo al fenomeno migratorio.
Erano partiti da poche ore dal porto di Trapani quando si sono imbattuti in un barcone alla deriva, stracarico di migranti in pericolo e ne hanno portato in salvo almeno 67, grazie alla cooperazione con la Guardia costiera italiana.
«Stiamo cooperando con la motovedetta della Guardia Costiera Italiana a cavallo tra zona Sar maltese e zona Sar tunisina – racconta don Mattia Ferrari a bordo della nave Mare Jonio – nel soccorso di 67 persone tra cui 16 donne e 15 bambini a bordo di una barca di legno sovraffollata che stava pericolosamente imbarcando acqua. Abbiamo stabilizzato l’imbarcazione e distribuito i giubbotti di salvataggio, poi le persone le ha caricate a bordo la Guardia Costiera».
«Prego per voi e per la vostra testimonianza», papa Francesco ha inviato, per tramite proprio di don Mattia Ferrari un messaggio all’equipaggio della Ong Mediterranea e del veliero di Migrantes, in missione nel Mediterraneo da poche ore per salvare vite umane. L’operazione è partita venerdì sera dal porto di Trapani. «Una missione di particolare rilevanza» perché per la prima volta la nave è accompagnata lungo la sua rotta da una barca a vela di supporto organizzata dalla fondazione Migrantes della Chiesa cattolica italiana, «con funzioni di osservazione e documentazione, informazione e testimonianza», afferma la Ong. Le due imbarcazioni hanno raggiunto ieri pomeriggio l’area di operazioni Sar a sud di Lampedusa.
«Siamo tornati di nuovo là dove bisogna essere: nel Mediterraneo per soccorrere le persone in fuga da tortura, violenze e violazioni dei diritti umani e contrastare le intercettazioni e le deportazioni in Libia e Tunisia», scrive sui social l’organizzazione umanitaria.
All’obiettivo prioritario della missione di salvaguardare a ogni costo ogni singola vita umana in pericolo in mare, spiega Laura Marmorale, presidente di Mediterranea Saving Humans, si aggiunge infatti quello di impedire intercettazioni e respingimenti delle persone migranti «verso porti e Paesi “non sicuri”, dove i diritti fondamentali sono negati e la stessa incolumità delle persone è quotidianamente a rischio. Intercettazioni e respingimenti che sono aperte violazioni del diritto internazionale, umanitario e marittimo. (dal quotidiano “Avvenire” – Daniela Fassini)
Penso si possa affermare che il problema dei migranti si potrebbe e dovrebbe affrontare e risolvere se tutte le parti in causa facessero il proprio dovere: le organizzazioni umanitarie svolgere il loro benemerito ruolo di intervento e di testimonianza; le strutture pubbliche il compito istituzionale di soccorrere e portare in salvo; i pubblici poteri dovrebbero (il condizionale e d’obbligo) non limitarsi ad intercettare e respingere, ma dovrebbero programmare e gestire l’accoglienza e l’integrazione.
Invece purtroppo la programmazione consiste in un macabro gioco allo scaricabarile tra Ue e Stati membro, tra Stati membro, tra Paesi europei e Paesi di partenza e di transito; l’accoglienza è fatta con la riserva mentale di rispedire al mittente i disperati; la gestione non riguarda l’integrazione ma il rimpatrio, peraltro impossibile, sulla base della distinzione di lana caprina fra richiedenti asilo e migranti generici.
Il diritto internazionale conta assai poco e oserei dire che tutto avviene in aperta o subdola violazione delle norme umanitarie. Da una parte le analisi più sofisticate dicono che abbiamo bisogno della presenza degli immigrati per motivi di carattere demografico ed economico, ma dall’altra parte il discorso non abbiamo il coraggio di accettarlo e ci illudiamo di considerare gli immigrati alla stregua di profittatori delle proprie disgrazie in attesa di delinquere a danno di chi non riesce a disfarsi di loro.
Non riusciamo a capire che non si tratta di emergenza, ma di drammatica routine. Chi cerca di fare qualcosa di concreto al riguardo viene ostacolato o addirittura criminalizzato. Paradossalmente le ong vengono considerate come le amiche del giaguaro scafista. I voti elettorali vanno a chi vaneggia e propone impossibili linee dure. Persino il Papa viene considerato un rompiscatole che predica bene, ma razzola male. Cosa dovrebbe fare per razzolare bene non è dato saperlo: forse trasformare il Vaticano e tutte le aree rientranti nella giurisdizione cattolica in un mega campo-profughi? Qualcosa di più in tal senso si potrebbe fare, ma non scarichiamo sulla Chiesa responsabilità che riguardano ben altri soggetti. Ognuno si prenda la sua parte e nessuno faccia il finto tonto.