Siamo in un tempo segnato dalle guerre aperte che si vanno eternizzando, ossia non finiscono, come attesta ciò che sta accadendo in Ucraina o in Terra Santa; dalla minaccia di un conflitto globale; da una cultura pubblica che ha espulso ogni riferimento al tema della pace. Ormai si parla solo di armamenti e di attacchi. È un gravissimo problema che dice come la nostra sia una cultura pietrificata in cui l’immaginazione si è spenta. Invece è urgente tornare a sognare la pace e a pensarla. (Andrea Riccardi – intervista al quotidiano “Avvenire”)
Sembra effettivamente che ci sia una resa globale alla logica bellica, una sorta di rassegnazione contagiosa: la narrazione mediatica è orientata alla mera descrizione senza alcun gemito di protesta, ma soprattutto senza alcun tentativo di proposta alternativa. Stiamo subendo la follia generale e ci limitiamo a giudicare chi sia più folle. Spero non sia così a livello di coscienza individuale, anche se gli individui non riescono a far decollare la loro indignazione verso una qualche forma di reazione/rivoluzione culturale e pacifica. Le istituzioni in campo internazionale sembrano impegnate a discutere sul sesso degli aggressori più che sul disastro incombente.
Rapporto Draghi sull’economia europea: cooperazione, debito comune e sfide per la competitività. Il rapporto di Mario Draghi sulla competitività dell’economia europea esorta a maggiore coordinamento e cooperazione, proponendo anche l’idea di debito in comune. Il rapporto evidenzia il divario di crescita tra Ue e Stati Uniti, l’aumento della competizione con la Cina e la mancanza di presenza europea nel settore tecnologico. Draghi sottolinea l’importanza dell’innovazione, dell’energia e della sicurezza come pilastri per una crescita sostenibile. Il rapporto suggerisce anche la necessità di completare il mercato unico, rendere coerenti le politiche industriali e finanziare in comune i beni pubblici europei (dal Sole 24 ore – Beda Romano)
Mario Draghi si sforza di coniugare l’economia bellica con l’europeismo pragmatico. Ammirevole, ma sembra prescindere da ogni e qualsiasi spinta ideale relegando il processo di unione europea nell’utopismo fragile dei sognatori che devono lasciare il posto ai manovratori. Senza fondamenta valoriali la bussola non può che segnare l’equilibrio economicistico che fa rima con egoistico e che prelude alle guerre.
Non condivido l’idea che l’Europa abbia irrimediabilmente perso la sua “presa” sui popoli e non sappia più indicare una strada credibile. Il Green deal rischia sì di fallire, con conseguenze nefaste sulla nostra competitività, ma non per i motivi di cui discutiamo nei dibattiti nazionali. Il tema, lo ripeterò sino alla noia, sono le risorse e i governi hanno la responsabilità storica di trovare un accordo. E il mondo ha bisogno di un’Europa capace di costruire una solida economia più rispettosa dell’Ambiente e dell’uomo. Con tutti i difetti evidenziati un giorno sì e l’altro pure, io credo che l’Unione abbia in sé i valori e le capacità per costruire un modello nuovo che rifletta anche i principi della Dottrina sociale e il magistero di papa Francesco. Da questo punto di vista c’è anche una precisa responsabilità dei credenti. (Enrico Letta – intervista al quotidiano “Avvenire”)
Enrico Letta si sforza di trovare nel recupero ecologico la spinta europea verso accordi di salvezza globale. Il punto d’attacco è interessante e lampante, ma si rischia di celebrare le nozze ambientali coi fichi secchi nazionali. E poi, esiste davvero una sensibilità collettiva a queste tematiche o c’è soltanto uno strampalato e inconcludente susseguirsi di amari pianti sulle macerie ambientali?
Verso il vertice Onu. La ragione deve aiutarci a superare la logica del conflitto. Non c’è dubbio, infatti, che le tante crisi globali sono la prova dell’inadeguatezza degli assetti istituzionali costruiti dopo la Seconda guerra mondiale. Che vedevano proprio nell’Onu l’embrione di un una nuova forma di governance internazionale. Una crisi che ha nell’involuzione del Consiglio di sicurezza, bloccato dai veti incrociati delle grandi potenze (Usa, Cina, Russia, Regno Unito e Francia), la sua manifestazione più evidente. In realtà, il Summit intende sollevare proprio tale questione: come va riprogettata l’Onu di fronte alle sfide del tempo presente? Negli ultimi novant’anni il mondo ha fatto enormi passi in avanti, tutti nella direzione di rendere ancora più urgente il rafforzamento di una governance globale. Citiamo tre grandi trasformazioni: la possibilità della guerra atomica che minaccia l’umanità; l’integrazione tecno-economica che ha ormai tessuto un’interdipendenza da cui non ci si può più separare; l’emergere del cambiamento climatico che colpisce il pianeta nella sua interezza. (dal quotidiano “Avvenire” – Mauro Magatti)
In effetti si ha l’impressione che la massima espressione istituzionale della convivenza internazionale, vale a dire l’Onu, sia ritualmente bloccata su cose di un altro mondo. Se non si riesce ad andare d’accordo nel condominio europeo, figuriamoci nel villaggio globale. Forse però è proprio allargando il campo visivo ed il terreno di azione che si potrà trovare la quadra per dare al mondo un riferimento non certo perfetto, ma almeno agibile di fronte al casino totale. In conclusione ben vengano le voci che, imprimendo qualche spinta e dando qualche scossa, pur senza scodellare verità assolute e conclusive, pure accolte in chiave critica e non in senso miracolistico, spingano all’impegno costruttivo piuttosto che al disimpegno distruttivo. Potranno sembrare velleitarie, ma cerchiamo almeno e se non altro di prendere paura e chissà che in un mondo così disastrato la paura non possa fare novantuno.