Nell’estate rovente che si sta attraversando, un gesto di solidarietà verso i detenuti delle carceri italiane. La Chiesa infatti, come annunciato a metà giugno dal cardinale Matteo Zuppi con la visita a Rebibbia a cui furono destinati 80 apparecchi, ha disposto la donazione di 2.200 ventilatori per gli Istituti penitenziari sparsi nel Paese.
«Talvolta, anche un semplice e lieve soffio d’aria può aiutare a vivere meglio il periodo di detenzione – si legge nella lettera inviata dal segretario generale della Cei, monsignor Giuseppe Baturi, al capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria Giovanni Russo -. La Chiesa desidera ricordare la propria vicinanza ai detenuti, ribadire che c’è vita oltre quelle sbarre e che loro sono nella condizione di poter sperare che un giorno, dopo il percorso riabilitativo, quelle porte possano riaprirsi».
Da qui l’iniziativa “Semi di tarassaco volano nell’aria”. «La Chiesa, come il tarassaco, fiorisce, si apre e – grazie al soffio dello Spirito – si scoprire presente oltre le sue stesse mura, anche tra i detenuti», sottolinea ancora Baturi.
La donazione di 2.200 ventilatori a 31 carceri da un capo all’altro della Penisola, «per aiutare i reclusi, soprattutto i più fragili della sezione ‘Infermeria’, ad affrontare il caldo estivo con un minor disagio», viene realizzata dalla Cei in collaborazione con il Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica e l’Ispettorato generale dei cappellani delle carceri.
Le consegne sono state effettuate già da giugno.
È stato il cardinale Matteo Zuppi a dare il via all’iniziativa il 12 giugno, consegnando 80 ventilatori alla Direzione della Casa Circondariale femminile di Rebibbia a Roma. «È la carezza di una madre che vi sta vicino», ha affermato rivolgendosi alle detenute. Si tratta, ha aggiunto, di «un piccolo gesto, ma l’amore è nelle cose semplici. Le attenzioni le ritroviamo nelle buone parole, nell’ascolto paziente; altre volte in gesti grandi o piccoli, come questo».
Facendo riferimento al titolo del progetto, Zuppi ha sottolineato che «come i fiori del tarassaco, i soffioni, volano dappertutto, così l’affetto della Chiesa arriva in carcere, portando un po’ di sollievo».
«Un dono simbolico che dice l’attenzione per questa nostra comunità, dove si tocca con mano la povertà», ha detto Nadia Fontana, direttrice della Casa circondariale, che ha espresso «gratitudine alla Conferenza Episcopale Italiana, ai cappellani, ai volontari che sempre, con spirito di carità, ci sostengono, senza pretendere nulla in cambio, facendoci sperimentare un conforto materiale e spirituale costanti». (dal quotidiano “Avvenire”)
Ben vengano queste altolocate elemosine cariche di significato emblematico più che di effettivo soccorso alle pene delle persone, saluto con piacere e commozione le esercitazioni poetiche sul ruolo della Chiesa. Mi chiedo però: è questa o, meglio, è solo questa la carità cristiana? Non rischiamo di coprire con una mano di compassionevole vernice le profonde incrostazioni dell’ingiustizia sociale? Non finiamo per fare la parte del secondino buono che alla fine va perfettamente d’accordo con quello cattivo? Non stiamo confondendo l’elemosina con la carità? Non mettiamo pannicelli freschi addosso a chi sta morendo di caldo? Non diamo una pacca sulla spalla a chi è disperato e medita il suicidio?
Una delle opere di misericordia che abbiamo imparato dal catechismo è “visitare i carcerati”. La Chiesa con i suoi cappellani e i suoi volontari visita indubbiamente i carcerati, ne condivide i drammi, ne allevia le sofferenze. Ma davanti ad un problema sociale grande come una casa, vale a dire l’inumana condizione della vita carceraria con la conseguente scia di disperazione spesso sfociante nel suicidio, di fronte ad una patente violazione della Carta Costituzionale, la quale prevede che le pene non possano consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e debbano tendere alla rieducazione del condannato, dopo aver ascoltato le parole del Presidente della Repubblica, il quale ha affermato come le condizioni nelle carceri siano angosciose agli occhi di chiunque abbia sensibilità e coscienza, indecorose per un Paese civile, qual è, e deve essere, l’Italia e come il carcere non possa essere il luogo in cui si perde ogni speranza e non vada trasformato in palestra criminale, il dono dei ventilatori mi lascia perplesso non tanto per il gesto in sé apprezzabilissimo, ma per il timore che possa diventare la copertura pseudo-caritatevole all’ingiustizia carceraria che grida vendetta al cospetto di Dio.
È pur vero che anche il soffio di un ventilatore può dare un sollievo materiale e l’idea di una vicinanza umana, ma ritengo che la denuncia debba essere molto più forte e pressante e che la giustizia debba essere perseguita sul piano politico e sociale anche sotto la spinta della comunità cristiana.
Invece di continuare a disquisire intellettualmente sull’impegno politico dei cattolici, ipotizzando nuovi o vecchi partiti e movimenti, meglio sarebbe occupare concretamente spazi di denuncia politica, di proposta legislativa, di mobilitazione sociale.
«Siano anzitutto adempiuti gli obblighi di giustizia, perché non avvenga che si offra come dono di carità ciò che è già dovuto a titolo di giustizia» (Apostolicam actuositatem, 8 – richiamata dal cardinale Michele Pellegrino).
Che vale riempirsi la bocca di slogan inerenti il rispetto della vita per poi lasciar marcire in carcere migliaia di persone trattate in modo disumano.
«É ripugnante parlare di Dio e non essere fedeli alla sua caratteristica principale, la giustizia. Se si parla di Dio, occorre farlo con serietà. Altrimenti è meglio non avere il suo nome sulle labbra» (card. Carlo Maria Martini da “Conversazioni notturne a Gerusalemme”).