Gli opposti show della politica senza politica

“Eccomi qui in una nuova puntata degli Appunti di Giorgia che però ho deciso di ribattezzare TeleMeloni. Perché l’unica TeleMeloni che esista è questa”. Nuova puntata della serie di monologhi social chiamati Gli appunti di Giorgia, che la premier Meloni pubblica sui propri profili fin dal suo insediamento e che usa per esporre (senza contraddittorio) i provvedimenti del governo e attaccare le opposizioni. In questo caso respinge al mittente le accuse di aver messo il bavaglio alla tv pubblica e ironizza su quel TeleMeloni che l’opposizione le rinfaccia ogni giorno. “Sono solo fake news di una sinistra che, essendo impegnata a occupare la televisione, pensa che gli altri siano come lei. Ma poiché noi siamo molto, e orgogliosamente, diversi dalla sinistra, abbiamo già smontato questa bufala dati alla mano”. (Il Fatto Quotidiano.it)

Il governo italiano si sta trasformando in una operazione mediatica che potremmo definire “Meloni show”. Sotto questo abito professionalmente confezionato non c’è niente, il che non deve tranquillizzare, ma inquietare: il nulla prima o poi verrà svelato, ma nel frattempo cosa sarà avvenuto del e nel Paese?

È lo stesso refrain che viene recitato riguardo all’antifascismo: il fascismo non esiste più e quindi è inutile battere questo tasto, anzi è controproducente parlarne perché alla gente interessano altre cose. A parte il fatto che non riesco più a capire cosa interessi alla gente, bisogna essere consapevoli che fascismo prima e più che regime politico è cultura che ben si attaglia alla trasformazione della politica in uno show.

Come si può contrastare questo deleterio andazzo? In campo mediatico esiste il rischio di creare “l’anti Meloni show”, intelligentemente cavalcato da La7. Meno male che c’è La7! Sì, però la politica è un’altra cosa. Bisogna tornare a discutere di politica evitando di cadere nel tranello dello show a favore o contro Giorgia Meloni. Non chiedetemi come e dove si possa riprendere a fare politica, visto che i partiti non esistono o non hanno gli strumenti adeguati e tendono a ripiegare nello show. Significativa al riguardo l’adesione di Elly Schlein al duello televisivo con la premier (pericolo fortunatamente scongiurato dall’Agcom) e l’idea smaniosa di personalizzare il voto anche da parte piddina con Elly scritto sulle schede elettorali facendo pateticamente il verso a Giorgia (fortunatamente rientrata in extremis).

Occorre sforzarsi di trovare argomenti e occasioni di incontro al di fuori del circuito mediatico altrimenti non se ne esce vivi. La melonizzazione della Rai è in atto. Non solo, addirittura si sta approntando anche la contro-rai con gli appunti di Giorgia, capace di portare croce e di cantar messa. Tutto ruota intorno a lei: c’è chi la ammira, c’è chi la esorcizza, c’è chi la compatisce, c’è chi la prende in giro. O si rompe questo teatrino o si rimane impigliati e paralizzati in esso.

Ricordo come Walter Veltroni, ai tempi in cui era leader del PD, si sforzò di combattere la personalizzazione dello scontro politico con Berlusconi, evitando addirittura di nominarlo, ribattezzandolo come suo mero competitor. Poteva sembrare una velleitaria sciocchezza, non lo era affatto: voleva significare lo sforzo di trasferire la politica dai personalismi ai problemi.

La sinistra politica non è in grado di allestire un teatrino alternativo anche perché non è il suo mestiere, attualmente si limita a confluire nell’anti-Meloni sfruttando gli spazi offerti da La7. Non riesce a portare il discorso su proposte di merito e pensare che non avrebbe altro che l’imbarazzo della scelta, dalla sanità al lavoro, dalla pace all’immigrazione, dall’Europa al resto del mondo.

La personalizzazione della politica è l’anticamera della capocrazia, non basta scimmiottarla a sinistra, urge superarla anche a costo di pagare prezzi elettorali immediati. Occorre che la sinistra riesca a parlare alla gente e con la gente non accontentandosi dei salotti televisivi, mentre invece purtroppo non ha significativa capacità di mobilitazione popolare: una sorta di esercito con i capi (?), ma senza soldati. Tutto ciò mentre alla destra può bastare (almeno nel breve termine) l’arte dell’illusionismo pseudo-popolare.

Giulio Andreotti definì “Porta a Porta” di Bruno Vespa come «la terza camera dello Stato»; oggi tutta la Rai può essere considerata la passerella coordinata e continuativa del premier e suo tramite del governo e della maggioranza parlamentare. La7 fa in modo intelligente e accattivante la parte dell’opposizione extra-parlamentare. Tutto rischia di finire lì. Siamo in un certo senso al fascismo (sarò fissato, ma è così).

Ricordo che mio padre, per sintetizzarmi in poche parole l’aria che tirava durante il fascismo, per delineare con estrema semplicità, ma con altrettanta incisività, il quadro che regnava a livello informativo, mi diceva: se si accendeva la radio “Benito Mussolini ha detto che…”, se si andava al cinema con i filmati Luce “il capo del governo ha inaugurato…”, se si leggeva il giornale “il Duce ha dichiarato che…”. Tutto più o meno così ed è così, in forme e modi più moderni, ma forse ancor più imponenti e subdoli, anche oggi in Italia.

Con una piccola grande differenza. Sempre mio padre mi raccontava come esistesse un popolano del quartiere (più provocatore che matto) che era solito entrare nei locali ed urlare una propaganda contro corrente del tipo: “E’ morto il fascismo! La morte del Duce! Basta con le balle!” Lo stesso popolano dell’Oltretorrente che aveva improvvisato un comizio ai piedi del monumento a Corridoni (ripiegato all’indietro in quanto colpito a morte in battaglia), interpretando provocatoriamente la postura nel senso che Corridoni non volesse vedere i misfatti del fascismo e di Mussolini, suo vecchio compagno di battaglie socialiste ed interventiste: quel semplice uomo del popolo, oltre che avere un coraggio da leone, conosceva la storia ed usava molto bene l’arte della polemica e della satira.

Oggi in Italia (e forse non solo in Italia) le televisioni teatralizzano il clima pro o contro il regime, mancano questi coraggiosi “popolani”, mancano le osterie, mancano i luoghi d’incontro, manca il tessuto sociale: i cosiddetti social non svolgono la funzione critica al regime, ma lo sostituiscono con una “fake form of individualistic government”.